Österreichisch – Italienisches Komitee des Notariats / Comitato Italo – Austriaco del Notariato

(Triest 2016/3) Dott.a. Elisabetta Bergamini

41. CONVEGNO

del Comitato Italo – Austriaco del Notariato

Trieste, 16 – 17 Settembre 2016

“Obblighi di forma e riconoscimento di atti esteri

ITALIA

Relatrice: Dott.a Elisabetta Bergamini,
Notaio in Cividale del Friuli (I).

I – Il concetto di atto autentico e attività che compie il notaio

1. Qual è la definizione di “strumento autentico” nel vostro ordinamento?

Il termine “strumento autentico” è sinonimo di atto pubblico nell’ordinamento italiano e rappresenta, a norma dell’art. 2699 cod.civ. qualsiasi documento redatto con determinate formalità da un notaio (o da altro pubblico ufficiale) autorizzato ad attribuirgli fede nel luogo in cui l’atto è formato.

L’atto pubblico è il principale atto rogato dal notaio secondo le norme di legge, e in particolare nel rispetto di quanto prescritto dagli artt. 47 e ss. della legge notarile. 

Caratteristica principale dell’atto pubblico notarile è che esso fa prova legale dei fatti e degli atti giuridici che il notaio attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti: ciò significa che in ipotesi di giudizio il giudice non può effettuare alcuna valutazione discrezionale in merito a quanto riportato dal notaio all’interno dell’atto da lui rogato (salvo la querela di falso).

L’atto pubblico notarile deve essere personalmente redatto dal notaio o da persona di sua fiducia, ma in quest’ultima ipotesi il notaio deve dirigere e vigilare l’attività di redazione in ogni suo momento. Quanto al contenuto dell’atto in parola, norma cardine è rappresentata dall’art. 51 l.n. che, al comma secondo, detta tutti gli elementi richiesti a pena di nullità dell’atto stesso.

Gli atti pubblici notarili devono essere messi a repertorio e a raccolta e non possono essere rilasciati alle parti, ma debbono essere custoditi presso il notaio rogante che ne rilascerà le copie da medesimo certificate per gli adempimenti pubblicitari che ne conseguano o che gli vengano comunque richieste.

2. Qual è il ruolo del notaio nel ricever un atto autentico?

L’art. 47 comma secondo l.n. prevede espressamente che, in riferimento agli atti pubblici, “il notaio indaga la volontà delle parti e sotto la propria direzione e responsabilità cura la compilazione integrale dell’atto”. Secondo quanto disposto dalla norma ora citata, l’attività del notaio nella redazione di un atto autentico si articola, dunque, fondamentalmente in due momenti: quello di indagine e quella di adeguamento.

In riferimento al primo di tali momenti il notaio non può fermarsi all’acquisizione superficiale della dichiarazione resa dalle parti, ma deve spingersi sino a riuscire a valutare lo specifico “interesse” voluto dalle parti stesse e la loro convinzione di volerlo realizzare.

All’attività di indagine si accompagna anche un’attività di informazione diretta ad un accordo negoziale corretto, equo e trasparente e un’attività̀ di consulenza in ordine agli strumenti giuridici più adeguati per la realizzazione degli intenti pratici voluti dalle parti. Il notaio, infatti, deve offrire ai propri clienti personalmente, o attraverso l’ausilio di altri professionisti (nelle ipotesi in cui le informazioni necessarie esulino dalle proprie cognizioni tecniche) tutti i chiarimenti opportuni in presenza di profili patologici che possano mettere a rischio la stabilità degli effetti che l’atto voluto dalle parti deve produrre.

Acquisite le informazioni necessarie e compreso lo scopo al quale le parti intendono addivenire, il notaio ha il compito di adeguare la volontà dei suoi clienti agli schemi negoziali previsti dalla legge, il tutto operando costantemente il cd. “controllo di legalità̀” relativo al contenuto dell’accordo nella sua complessità̀ e nelle singole clausole e, quindi, verificando che non ci siano profili di contrarietà̀ alla legge, al buon costume ed all’ordine pubblico, secondo quanto espressamente disposto dall’art. 28 l.n.

3. Il vostro ordinamento prevede anche l’autentica di sottoscrizioni?

Si, le ipotesi rientranti nel genus della scrittura privata autenticata siano molteplici. Si pensi alla presentazione al Notaio di un testo di scrittura completo in tutti i suoi punti, alla quale previi i controlli di cui infra dovrà solamente essere aggiunta l’autenticazione delle firme, o al caso in cui al notaio venga richiesta anche la stesura e/o revisione del testo da autenticarsi. Elemento caratterizzante tutte le fattispecie è dato dall’attività di autenticazione delle sottoscrizioni ad opera del notaio (o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato) il tutto nel rispetto delle prescrizioni di cui alla legge italiana.

Nel novero delle scritture private autenticate rientrano quindi tutti i documenti redatti per iscritto e sottoscritti con firma autografa dalle parti, che grazie all’autenticazione così come espressa anche dall’art. 2703 cod.civ., possono divenire titoli esecutivi o essere trascritti in pubblici registri al pari degli atti pubblici.

4. Qual è in tal caso il ruolo del notaio?

In ipotesi di scrittura privata autenticata, l’attività del notaio è caratterizzata da tre momenti, secondo quanto disposto anche dal secondo comma art. 2703 cod.civ.: controllo di legalità dell’atto (la legge n. 246 del 2005 ha espressamente esteso l’applicazione dell’art. 28 l.n. anche alle scritture private autentiche, conseguentemente la responsabilità del Notaio che riceva un atto pubblico o che autentichi una scrittura privata autenticata è la medesima), accertamento dell’identità delle parti ed in fine, attestazione dell’avvenuta sottoscrizione in presenza del notaio con l’indicazione nell’autentica e nel repertorio del luogo del Comune nel quale l’atto è autenticato.

Tra i compiti del notaio vi è, anche in sede di autentica, quello di assicurarsi che vi sia una corrispondenza tra quanto presente nella scrittura con la volontà delle parti, e ciò di regola anche mediante la sua lettura alle parti stesse.

L’attività di autenticazione può accompagnarsi ad una più o meno ampia attività di informazione e consulenza, che può variare sensibilmente con riferimento all’iter istruttorio che ha preceduto la redazione della scrittura, alla qualità ed al grado culturale dei contraenti.

Da ultimo va segnalato che dottrina e giurisprudenza sono concordi nel non ritenere applicabile alla scrittura privata autenticata le formalità dell’art. 51 l.n. (articolo che prevede i contenuti obbligatori dell’atto notarile) ammettendo quindi un esonero del notaio dalle formalità in esso contenute in sede di autenticazione dell’atto in parola.

5. Qual è l’efficacia probatoria di un atto autentico e di una scrittura privata autenticata?

Il requisito della forma scritta è soddisfatto dall’atto autentico che ai sensi dell’art. 2700  cod.civ. fa piena prova della provenienza delle dichiarazioni delle parti, cioè del fatto che le parti hanno materialmente effettuato quelle dichiarazioni in presenza del pubblico ufficiale, e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. L’efficacia probatoria non si estende invece alla veridicità delle dichiarazioni delle parti.

Il valore probatorio dell’atto pubblico è molto intenso e tale efficacia può essere messa in discussione solo attraverso un apposito procedimento: la querela di falso.

Nella scrittura privata, a differenza dell’atto pubblico, la fede privilegiata copre esclusivamente l’autenticità della firma e quindi la provenienza della stessa da determinati ed individuati soggetti, nonché la data delle sottoscrizioni, senza poter in alcun modo inerire al contenuto delle dichiarazioni che sono state fatte e pattuite dalle parti.

6. Il vostro ordinamento prevede lo strumento dell’atto autentico informatico?

Si, l’ordinamento italiano prevede lo strumento dell’atto pubblico informatico e la legge notarile dispone che ad esso si applicano le disposizioni della legge notarile e quelle emanate in attuazione della stessa (art. 47 bis l.n.). L’atto in parola viene ricevuto come per l’atto pubblico cartaceo in presenza delle parti e, nei casi previsti dall’art. 48, di due testimoni. Anche se non specificamente richiamati, si applicano ovviamente anche all’atto pubblico informatico l’art. 28 l.n. (controllo di legalità) e l’art. 54 reg. not. (verifica delle autorizzazioni, della legittimazione e dei poteri di rappresentanza). Più in generale, trovano applicazione all’atto pubblico informatico tutte quelle disposizioni “sostanziali” della legge notarile, la cui ratio ha carattere generale, e prescinde dal tipo di supporto utilizzato (cartaceo o informatico).

A partire dal 2013 quindi l’atto pubblico può essere interamente formato in modo informatico, lasciando alle parti la possibilità di firmare con la propria firma digitale il documento informatico contenente l’atto stesso e gli eventuali allegati presenti e prevedendo che alle sottoscrizioni delle parti faccia seguito la firma digitale del notaio, firma quest’ultima che contiene sia la sottoscrizione del notaio sia il suo sigillo.

Quanto alla firma digitale delle parti, nell’atto pubblico informatico il notaio ha il compito di attestare che i certificati di firma, eventualmente utilizzati dalle parti, siano validi. La legge non ricollega alcuna conseguenza della omessa menzione dell’accertamento della validità dei certificati di firma delle parti né in termini di validità dell’atto pubblico, né in termini di conseguenze disciplinari per il notaio; l’eventuale revoca o sospensione del certificato qualificato ha effetto dal momento della pubblicazione della lista che lo contiene (art. 36, comma 3, del d. lgs. n. 82/2005). Si ritiene che il documento sottoscritto con una firma digitale non valida sia per certi aspetti equiparabile al documento sottoscritto da soggetto diverso dall’autore apparente: esso quindi non produce effetti nella sfera giuridica del presunto autore dell’atto.

Va rilevato che alle parti è consentito sottoscrivere non solo con firma digitale, ma anche con firma elettronica non qualificata: a norma dell’art. 52-bis, comma primo l.n. la firma elettronica delle parti può consistere “anche nell’acquisizione digitale della sottoscrizione autografa” con la conseguenza che le parti possono apporre la propria sottoscrizione autografa su un supporto cartaceo (contenente il testo dell’atto pubblico), che verrà “scannerizzato” e trasformato in documento informatico, sottoscritto dal notaio con la propria firma digitale.

La conservazione dell’atto autentico informatico avviene attraverso un apposito sistema di conservazione tenuto a cura del Consiglio Nazionale del Notariato.

II La funzione dell’atto autentico

1. Per quali atti è richiesta la forma autentica e per quali motivi?

La forma dell’atto autentico costituisce a norma dell’art. 47 cod.deont. “la forma primaria e ordinaria di “atto notarile”, che il notaio deve generalmente utilizzare nella presunzione che ad esso le parti facciano riferimento quando ne richiedono l’intervento, se non risulti una loro diversa volontà e salvo la particolare struttura dell’atto”. Dalla lettura di tale norma discende quindi che, nella realtà dei fatti, ogniqualvolta il cliente conferisca un generico incarico al notaio di redigere un atto notarile per la realizzazione di uno specifico interesse esso faccia riferimento all’atto pubblico.

La ratio di tale disposizione sembra doversi rinvenire nell’eccezionalità ed inderogabilità dell’indagine della volontà che costituisce l’essenza dell’atto pubblico e spiega perché l’ordinamento imponga questa forma solenne a tutti i casi in cui gli interessi coinvolti nella stipula non sono disponibili dalle parti, o perché le parti stesse meritano di essere particolarmente “protette” ovvero quando importanti interessi di terzi esigono una particolare “affidabilità” della documentazione.

La forma dell’atto pubblico è chiesta in determinate ipotesi dalla legge (si pensi al caso della donazione, delle convenzioni matrimoniali o dei testamenti pubblici) mentre in altre possono essere le parti stesse che, ai sensi dell’art. 1352 cod. civ. prevedono tale forma ai fini della validità del negozio giuridico che stanno ponendo in essere.

2. Per quali atti è richiesta la forma dell’autentica delle sottoscrizioni?

La formula della scrittura privata autenticata è prevista come forma “minima” richiesta in alternativa all’atto pubblico quando si rende necessario procedere a formalità nei pubblici registri (si pensi agli atti che debbono essere trascritti nei registri immobiliari o nel registro delle imprese).

Ciò va coordinato però con quanto disposto dall’art. 47 cod.deont. sopra ricordato, ragion per cui è da considerare deontologicamente scorretto il comportamento del notaio che per sottrarsi a responsabilità professionali, per evitare l’espletamento di attività istruttorie, per sottrarre la propria attività all’ispezione demandata al Conservatore degli Archivi Notarili (nel presupposto che si tratti di scritture private rilasciabli dal Notaio in originale) scelga o suggerisca alle parti di optare per la forma della scrittura privata autenticata.

3. Qual è in particolare la forma prevista per donazioni, atti immobiliari, patti successori se ammessi, convenzioni matrimoniali, atti societari?

Per le donazioni, a norma dell’art. 782 cod.civ., la forma richiesta ai fini della validità stessa dell’atto (forma ad substantiam) è rappresentata dall’atto pubblico, con la sola eccezione delle donazioni di modico valore per le quali è sufficiente la traditio . L’art. 47 l.n. notarile richiede altresì la presenza di due testimoni la cui assistenza non è rinunciabile dalle parti ai sensi del successivo art. 48 l.n. La stessa forma vige per le convenzioni matrimoniali.

In riferimento agli atti immobiliari, a norma dell’art. 1350 n. 1 cod.civ. essi possono dirsi validamente stipulati anche con scrittura privata non autenticata. Tale forma non può però dirsi sufficiente ad ulteriori fini, in primis, quello della trascrizione dell’atto nei Registri Immobiliari e quindi dell’opponibile dell’atto ai terzi. L’art.2657 cod.civ. stabilisce, infatti, che “La trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente”.

In riferimento agli atti societari, anche per gli stessi viene richiesta la forma dell’atto pubblico o scrittura privata autenticata ai fini della pubblicità nel registro delle imprese, salvo per il caso delle società semplici per le quali vige il principio della libertà di forme (salvo requisiti che derivino dai beni conferiti). Risulta in particolare necessaria la forma dell’atto pubblico notarile nelle ipotesi di costituzione di società di capitali e di verbali assembleari delle stesse, per il solo caso delle cd. assemblee straordinarie (art. 2375 comma secondo cod.civ.), ben potendo le assemblee sociali ordinarie essere risultare verbalizzate senza intervento notarile.

In deroga al principio generale di cui all’art. 2470 cod. civ.  le cessioni di quote di società a responsabilità limitata (in esito all’art. 36 D.L.112/2008, convertito in L. 133/2008) possono ora avvenire senza intervento del notaio con l’atto di trasferimento sottoscritto con firma digitale, depositato a cura di un intermediario abilitato ai sensi di legge.

Non risultano, invece, ammessi nel nostro ordinamento i patti successori.

4. Qual è la forma prevista per procure, ratifiche, contratti preliminari. E’ richiesta la medesima forma come il contratto al quale si riferiscono?

Nel nostro ordinamento per la validità delle procure, delle ratifiche e dei contratti preliminari, vige il principio del parallelismo della forma o principio del collegamento formale di secondo grado: a tal proposito rispettivamente gli artt. 1392, 1399 e 1351 c.c. richiedono per la validità degli atti sopra menzionati la stessa forma del contratto o dell’atto giuridico cui sono connessi.

Va segnalato che, in riferimento al contratto preliminare, l’art. 2645 bis cod.civ., prevede al primo comma che i contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di taluno dei contratti di cui ai n. 1), 2), 3) e 4) dell’art. 2643 cod.civ. (normativa in tema di trascrizione come sopra visto), anche se sottoposti a condizione o relativi a edifici da costruire o in corso di costruzione, devono essere trascritti se risultano da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. La trascrizione del contratto preliminare non è dunque obbligatoria, ma laddove le parti intendano provvedervi la forma richiesta per tale adempimento risulta essere quella richiesta dall’art. 2645 bis.

5. Per gli atti societari: oltre all’intervento notarile è richiesta qualche altra forma di controllo od omologa?

No, oggi non più: con l’art. 32 della legge n. 340 del 2000 il legislatore italiano ha, infatti, abolito il vecchio sistema che prevedeva, per l’iscrizione degli atti costitutivi/modificativi delle società di capitali, un previo giudizio di omologazione da parte del Tribunale.

Tale riforma che ha sostituito il giudizio di omologazione col controllo notarile (artt. 2332 cod.civ. e art. 2463 cod.civ.) ha il pregio di dare maggior speditezza al procedimento costitutivo  e modificativo delle società di capitali.

A seguito della riforma di cui sopra rimane a carico del conservatore e del giudice del registro delle imprese solo un controllo di regolarità formale (con ciò intendendosi i controlli sulla competenza dell’ufficio, sulla provenienza della sottoscrizione e sulla legittimazione alla presentazione dell’istanza di iscrizione). 

III – L’esecuzione dell’atto notarile

1. Quali compiti ha il notaio per l’esecuzione di un atto notarile/una scrittura privata autenticata (qual è l’attività che il notaio deve compiere dopo aver ricevuto un atto pubblico o autenticato una scrittura privata?)

Quanto all’atto autentico il notaio deve, una volta che ha ricevuto l’atto, procedere con la sua conservazioni (salvo casi eccezionali: vedi il caso della procura speciale per singolo atto) nella raccolta dei suoi atti. Tale obbligo è direttamente connesso sia all’opportunità che il documento cartaceo sia conservato in un archivio sicuro, quale è quello notarile, e sia all’opportunità di assoggettare tali atti alle ispezioni ordinarie biennali da parte dell’archivio notarile competente, oppure ad eventuali ispezioni straordinarie. L’atto pubblico di regola non può essere rilasciato in originale alle parti, ma il notaio può procedere con il rilascio di una copia autentica dotata della medesima efficacia dell’atto originale.

In riferimento alla scrittura privata autenticata il notaio un tempo non aveva mai l’obbligo di conservarla, ma poteva rilasciarla in originale alle parti. Per gli atti soggetti a pubblicità immobiliare o commerciale, o nel caso siano le parti a chiederne la conservazione, l’art. 72 della legge notarile (come modificata dalla legge 28 novembre 2005, n. 246 cd. di semplificazione per l’anno 2005) stabilisce però che il notaio debba ora conservare nella raccolta dei suoi atti anche le scritture private. Il notaio potrà comunque rilasciare la scrittura in originale solo previa registrazione della stessa all’Agenzia delle entrate, se dovuta.

IV-  Lo strumento autentico e l’esecuzione forzata

1. A quali condizioni l’atto notarile può formare titolo esecutivo?

L’art. 474 cod.proc.civ. stabilisce che qualsiasi atto ricevuto da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge può costituire titolo esecutivo in riferimento a un diritto certo, liquido ed esigibile. Condizione quindi necessaria affinché tale ipotesi si verifichi è rappresentata dalla presenza di un atto pubblico contenente un’obbligazione certa e determinata contenente tutti gli elementi essenziali e strutturali; in altre parole la prestazione dedotta nell’atto deve essere compiutamente definita affinché l’atto notarile possa costituire strumento esecutivo del diritto in esso contenuto.

A tal proposito uno Studio del Consiglio Nazionale del Notariato ha affermato che “non è sufficiente ai fini dell’eseguibilità forzata che l’obbligazione di consegna/rilascio sia prevista da una disposizione di legge […] ma è necessario che sia contenuta nello stesso titolo negoziale (come si esprime l’art. 474 cod.proc.civ. con riguardo alle obbligazioni pecuniarie), cioè risulti in modo non equivoco dal tenore dell’atto”.

Sembra plausibile che la qualità di titolo esecutivo derivi non dalla particolare efficacia probatoria dell’atto pubblico, ma dalla pubblica fede che il notaio vi attribuisce e, dunque, per la particolare affidabilità, oltre che terzietà del soggetto che lo forma.

2. La scrittura privata autenticata può formare titolo esecutivo?

Si, la legge n. 80 del 2005, ha incluso tra i titoli esecutivi stragiudiziali anche la scrittura privata autenticata, sebbene a norma dell’art. 474 cod.proc.civ. la sua efficacia risulti limitata alle obbligazioni di somme di denaro in essa contenute. Di conseguenza la scrittura privata potrà essere usata per promuovere la soddisfazione coattiva di un credito, ma non potrà essere utilizzata, ad esempio, per promuovere la soddisfazione coattiva di una obbligazione di consegna o rilascio e ciò neppure a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 12 comma primo della legge n. 246 del 2005 che estende generalmente l’efficacia esecutiva anche ai fini dell’esecuzione per la consegna o il rilascio.

L’art. 474 cod.proc.civ. prevede poi, come per gli altri titoli esecutivi inseriti al n. 2 del secondo comma, l’onere dell’integrale trascrizione del titolo stesso nel precetto.

3. Come avviene il rilascio di copia esecutiva?

Affinché un atto pubblico possa essere utilizzato quale copia esecutiva e possa quindi rendere possibile l’esecuzione forzata, esso deve essere munito, a cura del notaio che ha rogato l’atto e che custodisce l’originale, della c.d. formula esecutiva, formula che a norma dell’art. 475 comma terzo cod.proc.civ. deve consiste nell’intestazione «Repubblica Italiana – In nome della legge» e nell’apposizione da parte del notaio sull’originale o sulla copia, della formula: «Comandiamo a tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e a chiunque spetti, di mettere a esecuzione il presente titolo, al pubblico ministero di darvi assistenza, e a tutti gli ufficiali della forza pubblica di concorrervi, quando ne siano legalmente richiesti» nonché del sigillo.

Il documento così contraddistinto è caratterizzato dall’unicità – l’art. 476, comma 1 cod.proc.civ. fissa infatti un preciso limite: non più di una copia in forma esecutiva può essere rilasciata alla stessa parte senza giusto motivo, pena una sanzione pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro – e dalla sua spedizione alla sola parte che è titolare dell’azione esecutiva: ragion per cui il rilascio della copia esecutiva prevede l’indicazione in calce della persona alla quale è rilasciata.

Va segnalato che il notaio non può dirimersi dal produrre, in presenza delle condizioni richieste dalla legge, dal rilascio della copia esecutiva; infatti, in caso di rifiuto la parte interessata può ricorrere al Presidente del tribunale in base al disposto dell’art. 476 cod.proc.civ.

Prima del rilascio della copia esecutiva, al notaio compete un obbligo di controllo di regolarità solo formale dell’atto ovverosia volto a verificare che l’atto rientri tra quelli previsti come titolo esecutivo dalla legge, la legittimazione della persona che chiede il rilascio della copia, l’assenza di una precedente spedizione in forma esecutiva ed al più che il diritto rappresentato sia astrattamente idoneo ad essere eseguito forzatamente, ma senza alcun controllo sull’effettiva esistenza ed esigibilità del credito.

Per le scritture private autenticate rilasciate in originale non opera la formalità ora evidenziata dal momento che l’originale è in possesso delle parti. Per tali titolo la spedizione in forma esecutiva è sostituita dall’obbligo di trascrizione integrale nell’atto di precetto ai sensi dell’art. 480 comma secondo cod.proc.civ.

Per le scritture private conservate agli atti dal Notaio si devono ritenere applicabili le stesse formalità previste per gli atti pubblici (cfr. circolare 6/2006 del Ministero della giustizia)

Sembra, tuttavia, che al momento, di fronte al testo dell’art. 474, comma 3, cod.proc.civ., che prevede la trascrizione integrale della scrittura privata nel precetto, sussista un ostacolo testuale all’ammissibilità di tale estensione; inoltre l’art. 475, comma 1, cod.proc.civ. continua a limitare la spedizione in forma esecutiva agli atti ricevuti da notaio (e tale non è la scrittura privata).

4. A quali condizioni un titolo estero può formare titolo esecutivo?

La questione dell’efficacia esecutiva degli atti (stragiudiziali) provenienti da Stati non Membri dell’Unione Europea è disciplinata, per gli atti provenienti da Stati non Membri dall’art. 68 della legge 31 maggio 1995, n. 218 a norma del quale la previsione dell’art. 67 (che disciplina l’esecuzione forzata di sentenze e provvedimenti stranieri) si applica anche rispetto all’attuazione e all’esecuzione forzata in Italia di atti pubblici ricevuti in uno Stato estero e ivi muniti di forza esecutiva. Dalla lettura delle due norme si può quindi ritenere che l’atto pubblico ricevuto all’estero costituisca titolo esecutivo anche in Italia, nella misura in cui l’efficacia esecutiva sia ad esso attribuita dall’ordinamento di origine, e che a tal fine chiunque vi abbia interesse possa chiedere alla Corte d’appello del luogo di attuazione l’accertamento del valore di titolo esecutivo.

Affinché l’atto pubblico straniero possa valere come titolo esecutivo in Italia, oltre alla condizione autonomamente posta che l’atto abbia forza esecutiva nel paese di provenienza, l’art. 68 d.i.p. richiede, tramite il richiamo all’art. 67, che sia verificata la sussistenza dei requisiti indicati nei precedenti articoli 64, 65 e 66. Detto rinvio, tuttavia, ha una portata assai ridotta in quanto l’applicazione dei tre articoli da ultimo citati risulta limitata alla prescrizione di cui alla lettera g) dell’art. 64 (non contrarietà all’ordine pubblico internazionale), riferendosi gli altri requisiti a provvedimenti stranieri aventi natura giurisdizionale.

Quanto sopra rimarcato non può però dirsi valido anche per scritture private autenticate all’estero le quali  non costituiscono titolo esecutivo, ai fini dell’esecuzione forzata in Italia (se non per limitate ipotesi), a meno che ciò sia consentito dalla legge interna dello Stato in cui l’esecuzione ha luogo.

Per quanto attiene invece agli atti esteri, intesi come atti rogati da soggetti appartenenti a Stati Membri, anche l’art. 57 regolamento Bruxelles I, come la disciplina poc’anzi vista, prevede che essi siano esecutivi anche in Italia se hanno le caratteristiche per essere dichiarati esecutivi nello Stato di origine. 

V – Atti da e per l’estero

1. Quali sono i compiti che il notaio ha in caso sia chiamato a ricevere un atto con riferimenti esteri ovvero un atto da far valere all’estero?

Tra i compiti che il notaio è chiamato a svolgere quando riceve un atto con riferimenti esteri, primo tra tutti è quello di comprendere se l’atto che è chiamato a utilizzare possa rientrare in tale nozione di atto estero (tale intendendosi qualunque atto giuridico redatto all’estero, sia da pubbliche autorità straniere, sia da privati. Non sono atti esteri, pur essendo stati ricevuti o autenticati all’estero, gli atti dei nostri consoli, perché promanano da autorità italiane)

Passo successivo è quello di procedere alla custodia dello stesso, ai sensi dell’art. 68 reg.not. il quale espressamente prevede che gli atti con riferimenti esteri destinati ad essere trascritti o iscritti nei registri immobiliari o commerciali debbono essere – laddove il deposito non sia avvenuto ai sensi dell’art. 106 n. 4 legge notarile – depositati presso un notaio italiano. All’obbligo di deposito è strettamente connesso il compito di verificare – oltre a eventuali necessari requisiti della legalizzazione e apostille – la legalità dell’atto estero ai fini dell’utilizzo nell’ordinamento italiano, l’”uso” cioè che di quel documento la parte depositante intenda fare. Il notaio quindi deve operare un controllo di legittimità per evitare che possano circolare in Italia negozi regolanti assetti di interessi espressamente in violazione dell’ordine pubblico e delle norme di applicazione necessaria. Vertendo il controllo in parola su un atto già completamente formato senza alcuna possibilità di indagine della volontà delle parti, esso può e deve attenere alla forma – ovverosia al controllo del rispetto delle regole minime imposte dall’ordinamento di provenienza – e alla sostanza – intesa come compatibilità dell’atto estero con l’ordine pubblico c.d. internazionale e con le norme di applicazione necessaria.

Al fine di far valere l’atto estero in Italia, al notaio è inoltre consentito di procedere con l’integrazione dell’atto straniero con menzioni e documenti mancanti e richiesti dal nostro ordinamento, mentre non risultano sanabili vizi di forma richiesti dalla legge applicabile. L’opera di “adeguamento” ora richiamata è soggetta poi alla generale limitazione legata alla funzione del deposito stesso che non può travalicare i naturali limiti della configurazione propria ad esso deposito e tradursi in una novazione dell’atto depositato.

Ulteriore compito del notaio nazionale a seguito della redazione del verbale di deposito è quello di garantire l’adempimento degli obblighi fiscali e di pubblicità e la conservazione dell’atto medesimo nel tempo, con possibilità di rilascio di copie.

Nel caso invece in cui un atto destinato all’estero sia ricevuto da un notaio italiano, sono applicabili le norme previste in merito dalla legge notarile nazionale, in altre parole anche laddove l’atto sia destinato a circolare e ad avere effetti in un ordinamento giuridico diverso da quello italiano, il notaio dovrà attenersi alle proprie regole nazionali per quanto attiene la redazione, il contenuto e le menzioni in esso necessarie.

Benché non rientri tra i compiti del notaio che riceve l’atto da utilizzare all’estero l’adoperarsi per ottenere la legalizzazione o l’apposizione dell’Apostille, rientra tra i suoi doveri quello di informare le parti circa la necessità di eseguire tali adempimenti e le modalità con le quali operare al fine di consentire la circolazione dell’atto ricevuto in Italia e destinato a dispiegare efficacia all’estero. In particolare se l’atto italiano deve essere usato all’estero, la legalizzazione deve essere fatta dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale nella cui circoscrizione ha sede il notaio che riceve o autentica l’atto. La firma del Procuratore della Repubblica, a sua volta, viene legalizzata dal Consolato straniero nel cui ambito risiede.

2. In che misura e a quali condizioni possono trovar riconoscimento atti esteri?

In riferimento al riconoscimento di atti esteri opera il c.d. principio del mutuo riconoscimento, ma ad alcuni fini – quali ad esempio la trascrizione o l’iscrizione in pubblici registri – risultano necessari ulteriori adempimenti. L’atto estero per poter produrre in Italia effetti non dissimili ad un atto italiano deve, in primis,  possedere gli stessi requisiti minimi richiesti all’atto nazionale, deve cioè possedere gli stessi livelli di garanzia sulla provenienza dell’atto e sulla sua conformità alla legge richiesti all’atto nazionale: è necessario cioè che l’atto estero non si limiti a presentare il nomen di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, ma corrisponda nella sostanza al suo omologo italiano, ne presenti cioè gli elementi formali e sostanziali minimi che consentano di porre l’atto formato all’estero sullo stesso piano dell’atto italiano.

Perché un atto estero sia utilizzabile in Italia, esso, deve quindi non solo essere depositato presso un archivio notarile o un notaio italiano ai sensi dell’art. 106, n. 4 l.n., ma ancor prima esso deve essere munito di una certificazione della sua “provenienza”, deve cioè superare la procedura cd di legalizzazione (o apostille a seconda dei casi) in base alla quale si attesta che l’atto estero è stato redatto o autenticato da un soggetto al quale espressamente l’ordinamento di appartenenza attribuisce tali poteri, soggetto che avrà agito in conformità alle normative nazionali di riferimento. Se, infatti, dell’atto estero non si conosce la provenienza, a prescindere da ogni controllo di legalità effettuato dal notaio, lo stesso non può produrre effetti in Italia: unica soluzione possibile potrebbe essere quella di un accertamento giudiziale della legittimità dell’atto e della sua provenienza. Se l’atto è rilasciato da una autorità estera in Italia, deve essere legalizzato dal Prefetto nella cui circoscrizione si trova l’autorità estera stessa (fanno eccezione la Val d’Aosta, in cui è competente il Presidente della Regione, e le Province di Trento e Bolzano, per cui è competente il Commissario di Governo).

Per gli atti rogati da notai appartenenti a Stati firmatari della Convenzione dell’Aja del 1961 propedeutico al deposito dell’atto straniero è invece il sistema dell’Apostille ovverosia un procedimento semplificato di certificazione della firma del soggetto rogante o autenticante, che viene “legalizzata” dalla sola autorità dello Stato nel quale l’atto e formato e che per l’Italia è rappresentata dal Procuratore della Repubblica presso i Tribunali nella cui circoscrizione gli atti sono formati. Tale sistema si basa su una formula standard che quindi non necessita di traduzione.

Un sistema ancora più semplificato si applica per gli atti esteri provenienti da Stati aderenti alla Convenzione di Bruxelles del 1987: in tale ipotesi è sufficiente che il notaio rogante autentichi il documento che poi sarà utilizzato in Italia.

3. Come avviene l’esecuzione di atti ricevuti all’estero?

Ai fini dell’esecuzione di un atto ricevuto all’estero è necessario, come più volte ricordato il preventivo deposito dell’atto stesso ai sensi dell’art. 106 n. 4 l.n. o dell’art. 68 reg. not.; deposito che deve essere preceduto dalla traduzione dell’atto straniero e dalla legalizzazione (o dall’apostille).

Nel dettaglio, il deposito di un atto straniero si realizza mediante la redazione di un verbale (messo a repertorio) da parte del notaio italiano, avente quali comparenti i soggetti che richiedono il deposito dell’atto.

Solitamente il verbale di deposito nulla aggiunge alla natura dell’atto depositato ed in quest’ultimo caso realizza il solo fine di rendere certa l’esistenza del documento, consentendone il rilascio di copie.

Al verbale di deposito è allegata anche la traduzione dell’atto straniero, traduzione che può essere operata dal notaio italiano stesso, o laddove questi non conosca la lingua straniera, da un traduttore ufficiale, presente nell’elenco dei traduttori ufficiali, disponibile presso la Cancelleria del Tribunale. (E’ importante rilevare che devono essere tradotte tutte le parti dell’atto estero e, se l’atto depositato è una scrittura privata autenticata, l’obbligo di traduzione riguarda anche la formula dell’autentica, al fine di consentire la verifica dei requisiti minimi del controllo e della certificazione effettuati dall’ufficiale autenticante).

Non necessaria risulta invece la redazione di un apposito verbale di deposito per gli atti esteri che devono essere allegati ad un atto pubblico o autenticato da un notaio italiano (ad esempio le procure): in questi casi l’allegazione (che sarà preceduta anche in queste ipotesi da traduzione e legalizzazione) realizza di fatto anche il deposito.

4. Ci sono atti che possono essere ricevuti solo da un notaio nazionale?

Non risulta che vi siano previsioni normative circa la necessità di intervento di un notaio nazionale. E’ vero però che i limiti territoriali alla competenza notarile rappresentano di fatto un ostacolo alla ricezione da parte di un Notaio straniero di atti che necessariamente debbano essere ricevuti in Italia (si pensi ad un verbale societario di assemblea convocata sul territorio italiano). 

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