Relazione della Dott.a Eliana Morandi, Notar in Udine
INDICE
1. Il ruolo del notaio nei trasferimenti di beni con provenienza successoria, con riguardo alla tutela del terzo acquirente.
2. Breve richiamo alle caratteristiche del sistema pubblicitario “italiano” rispetto al sistema “tavolare”:
3. Brevi nozioni di diritto successorio italiano. In particolare, accettazione, rinuncia, loro pubblicità (modalità ed effetti) c.c.
4. Deroghe al sistema di trasferimento e pubblicità dei diritti su beni immobili collegate alla provenienza successoria dei beni.:
a) Artt. 533 e 534 , 2° co., c.c..Le pretese dell’erede “vero” verso l’erede apparente ed il terzo avente causa. In particolare, l’importanza della trascrizione dell’ accettazione tacita della eredità ;
b) Applicazione giurisprudenziale dell’art. 534 con riferimento al legato del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite.
c) Art. 563 c.c. riducibilità delle donazioni lesive;
d) Art. 733 c.c. : il diritto di prelazione e riscatto del coerede nella vendita di quota ereditaria;
5. Trattamento fiscale delle successioni; Documentazione necessaria per entrare in possesso di beni ereditari: l’atto notorio; la dichiarazione sostitutiva di atto notorio. Caso pratico: successione di cittadino europeo con beni in Italia.
6. Le successioni nell’attuale sistema di diritto internazionale privato italiano: la legge 218/95, art. 46 (sintesi)
7. Casistica di interesse notarile. Introduzione. Per comprendere la complessità ed i rischi della “circolazione” dei beni provenienti da una successione per causa di morte nel sistema italiano, è indispensabile partire da un brevissimo inquadramento comparatistico delle scelte svolte dal legislatore italiano in materia successoria e di meccanismi di trasferimento immobiliare e sua pubblicità. Senza soffermarsi su commenti per i quali la sede non lascia spazio, si può qui anzitutto ricordare che l’ordinamento italiano – a differenza di quanto accade, ad esempio, nel sistema austriaco della Verlassenschaftsverfahren (giudizio di ventilazione) – si è orientato verso la trasmissione “diretta” della successione, solo “mediata” – per l’erede – dalla necessità della accettazione da parte dell’erede stesso. In Italia, cioè, il trasferimento dei beni ereditari si attua direttamente con l’accettazione (che può essere espressa oppure tacita) da parte dell’erede, mentre il legato (sia testamentario sia legale) si acquista “automaticamente” all’apertura della successione, salvo il diritto di rifiuto del legatario. Accolto questo criterio, il legislatore italiano si è trovato di fronte al problema di contemperare diversi obiettivi. Infatti, se da un lato ha così garantito la celerità nella trasmissione del patrimonio, dall’altro lato doveva altresì assicurare comunque la certezza nella titolarità dei rapporti giuridici e la sicurezza e tutela dei terzi acquirenti e creditori.
Come vedremo, le soluzioni adottate hanno per la verità dato luogo ad un “equilibrio molto instabile” tra il principio della tutela dei successori per causa di morte (titolari sostanziali dei diritti trasmessi) ed il principio – purtroppo spesso contrastante – di certezza dei rapporti giuridici. La questione è stata ulteriormente complicata dal fatto che – nell’ambito successorio – il legislatore italiano ha, inoltre, adottato il sistema della “successione necessaria”, ponendo cioè dei limiti invalicabili alla libertà del testatore di decidere a chi lasciare i propri beni, e prevedendo, appunto, che una parte dei beni del de cuius sia riservata in via assoluta ai suoi stretti congiunti, prevedendo al riguardo anche importanti “deroghe” al sistema ordinario della circolazione dei beni. Il notaio italiano, quindi, deve muoversi con padronanza ed estrema cautela tra i meandri normativi – spesso contraddittori e potenzialmente conflittuali – al fine di consentire e facilitare la trasmissione e la circolazione dei beni garantendo le parti secondo le linee guida del sistema.
Al riguardo la Commissione propositiva del Consiglio Nazionale del Notariato, rilevate le molte difficoltà ed incertezze che la complessità del sistema provoca, ha avanzato delle proposte che attribuiscono al notaio un ruolo più centrale nella gestione del fenomeno successorio, al fine di darvi maggiore tempestività e certezze, e, quindi, maggiore trasparenza e sicurezza nei traffici giuridici. In ciò, del resto, ci si avvicinerebbe non solo a molti altri sistemi europei – tra cui, in particolare, quello austriaco – ma anche ai sistemi anglo-sassoni, caratterizzati, in genere, dalla trasmissione “indiretta” della successione, che “passa attraverso” una fase assolutamente amministrativa (probate) durante la quale sono gestiti e risolti molti dei problemi collegati alla necessità di garantire certezze nella titolarità e gli adempimenti ai creditori della successione. Per la corretta comprensione dei problemi sopra ricordati, è necessario premettere alcuni cenni anzitutto sulle regole fondamentali del sistema italiano in materia di trasferimento e di pubblicità dei diritti su beni immobili e, quindi, in materia successoria. Successivamente si potranno esaminare i problemi che le soluzioni accolte dal legislatore italiano possono in concreto comportare a danno dei terzi acquirenti di beni di provenienza successoria, e conseguentemente del ruolo che il notaio deve svolgere al riguardo.
2) Brevi cenni sul sistema di pubblicità dei trasferimenti di beni immobili in Italia: la “trascrizione” nei Registri Immobiliari Di seguito si richiameranno le regole fondamentali del sistema di pubblicità dei trasferimenti a titolo derivativo di beni immobiliari in Italia. Si precisa, al riguardo, che si farà riferimento alle sole norme del “sistema italiano”, escludendo, quindi, le regole del sistema “tavolare” che pure è ancora vigente in alcune province italiane. Inoltre non si farà riferimento agli effetti della pubblicità degli atti mortis causa, argomenti di cui si occuperà il notaio Peresson Il Codice Civile del 1942 – nonostante forti spinte in senso opposto – accolse il sistema di pubblicità immobiliare tipico degli ordinamenti francese e latini in genere, vale a dire il sistema della “trascrizione” come forma di “pubblicità pura”, destinata esclusivamente a dare “conoscenza legale” dei trasferimenti immobiliari a terzi, ma senza concorrere – in linea di principio – alla realizzazione del trasferimento stesso. La trascrizione, infatti, è sistema pubblicitario con efficacia esclusivamente dichiarativa, non costitutiva, degli acquisti immobiliari, ed è fondato su base personale. Nel nostro ordinamento, quindi, la proprietà e gli altri diritti reali si trasferiscono con il semplice accordo tra le parti, con la conseguenza che – a differenza dei sistemi germanici – la successiva pubblicità (trascrizione) del contratto non ha effetto costitutivo del trasferimento e, quindi, del diritto del terzo acquirente. Tuttavia, il legislatore italiano si rese subito conto che, in realtà, il principio del consenso traslativo non era sufficiente a garantire certezza nei rapporti giuridici sia tra le parti che nei confronti con i terzi. Per tutelare questi ultimi, infatti, si rendeva necessario prevedere un meccanismo diverso, più oggettivo e più facilmente verificabile che potesse risolvere in modo incontestabile l’eventuale conflitto nel caso di trasferimento dello stesso bene – con atti successivi – a più acquirenti. Il meccanismo prescelto dal legislatore a salvaguardia dei terzi e, più in generale, della sicurezza nel trasferimento dei beni è enunciato nel fondamentale articolo 2644 c.c.. Tale norma, infatti, precisa chiaramente come l’effetto tipico della trascrizione consista nel dirimere – in modo oggettivo e facilmente accertabile – eventuali conflitti tra più aventi causa dallo stesso alienante. L’art. 2644 dispone: “Effetti della trascrizione. Gli atti enunciati nell’articolo precedente (ndr: atti di trasferimento o costituzione di diritti su beni immobili) non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi. Seguita la trascrizione, non può avere effetto contro colui che ha trascritto alcuna trascrizione o iscrizione di diritti acquistati verso il suo autore, quantunque l’acquisto risalga a data anteriore” In altri termini: benchè, in forza del consenso traslativo (art. 1376 c.c.), il bene immobile tra le parti si sia trasferito dal consenso del proprietario, ne sarà titolare – per tutti i terzi – colui che ha trascritto per primo, anche se, in ipotesi, avesse “acquistato” per secondo (e quindi da colui che non era più proprietario) (art. 2644 c.c.). Si sottolinea, poi, che per una precisa scelta rivolta a favorire la certezza nei rapporti giuridici, agli effetti dell’art. 2644 è del tutto irrilevante la buona fede del terzo. Quindi, in sintesi: di regola nel sistema italiano acquista bene chi acquista un bene immobile e trascrive in assenza e prima di precedenti trascrizioni a favore di altri. In questo senso, la pubblicità “prevale” sul diritto sostanziale. Tuttavia, questa regola fondamentale trova importanti eccezioni, alcune delle quali proprio collegate .al diritto successorio, ed in particolare alla volontà legislativa di dare compiuta attuazione alla “tutela dei successori sostanziali” e – tra questi – agli eredi “legittimari” di cui si è parlato inizialmente.
3) Brevi cenni sulle regole fondamentali del sistema italiano in materia successoria. (della Dott.a Lucia Peresson, notaio)
4) Problemi collegati alla circolazione di beni immobili di provenienza successoria. Ricordate le regole generali della successione, in particolare di quella “necessaria” e della funzione della pubblicità nella circolazione dei beni immobili, è possibile ora analizzare quali siano le norme che – essendo poste a tutela degli eredi necessari (o dell’erede vero) – possono porre in pericolo l’acquisto del terzo anche di buona fede, dato che il legislatore – nella sua libera valutazione degli interessi in gioco – ha scelto di dare preferenza ai primi.
a) Artt. 533 e 534 c.c.: la petizione di eredità e la tutela dell’erede “vero” nei confronti dell’erede “apparente”. “Art. 533 Nozione. L’erede può chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi. L’azione è imprescrittibile, salvi gli effetti dell’usucapione rispetto ai singoli beni.” “Art. 534 – Diritti dei terzi. L’erede può agire anche contro gli aventi causa da chi possiede a titolo di erede o senza titolo. Sono salvi i diritti acquistati, per effetto di convenzioni a titolo oneroso con l’erede apparente, dai terzi i quali provino di avere contrattato in buona fede. La disposizione del comma precedente non si applica ai beni immobili e ai beni mobili iscritti nei pubblici registri, se l’acquisto a titolo di erede e l’acquisto dall’erede apparente non sono stati trascritti anteriormente alla trascrizione dell’acquisto da parte dell’erede o del legatario vero, o alla trascrizione della domanda giudiziale contro l’erede apparente.”
Cominciando dal commento all’art. 533 c.c., la legge prevede che colui che si ritiene erede “vero” possa rivendicare tale propria qualità con una apposita azione, detta petizione di eredità, con la quale – accertata la qualità di erede – l’attore chiede ed ottiene la restituzione dei beni ereditari non solo da parte dell’eventuale “erede apparente” (che li detenesse in buona o mala fede) ma anche nei confronti del terzo acquirente che li abbia acquistati dall’erede apparente. L’erede “vero” può essere un erede legittimario pretermesso (escluso) dal testamento, o anche di cui si ignorava l’esistenza (ad esempio un figlio naturale, o una persona sposata senza che si fosse saputo) o il soggetto a cui l’eredità spetta per legge nel caso di annullamento di un testamento che disponeva diversamente, o, ancora, un soggetto designato da un testamento che venga successivamente ritrovato. Ad esempio, quest’ultima possibilità ricorre con un certa frequenza in casi di persone che muoiono senza lasciare eredi legittimari – potendo quindi lasciare liberamente il proprio patrimonio a chi vogliono – cosicché il loro patrimonio si devolve ai parenti indicati dalla legge, mentre successivamente viene scoperto un testamento che designa eredi diversi. Per “erede apparente”, invece, si intende colui che si comporta come erede mentre in realtà non è chiamato (ad esempio perché il testamento che lo designa erede è invalido); o colui che è stato chiamato in misura minore a quella di cui dispone (ad esempio perché vi è una concorrente chiamata testamentaria a favore di altri); o la cui chiamata è sottoposta a limiti che non vengono rispettati.
Ad esempio, si supponga che Tizio muoia lasciando solo un figlio Caio, ma che abbia fatto un testamento designando erede, per la quota disponibile (pari, nell’esempio, alla metà del patrimonio) l’amico Sempronio, attribuendogli la proprietà dell’appartamento di Lignano, che vale, appunto, la metà del patrimonio. Prima che si scopra il testamento, Caio vende l’appartamento di Lignano a Terzo. Caio è, dunque, erede “apparente” e, una volta trovato il testamento, si applicherà l’art. 534 c.c.. Come conseguenza, Terzo potrebbe trovarsi costretto a restituire l’appartamento di Lignano a Sempronio. In base all’art. 534, quindi, il terzo acquirente di un bene ereditario può essere davvero sicuro che il suo acquisto sia definitivamente “salvo” solo se ricorrono 3 condizioni: ??la buona fede del terzo acquirente stesso nel ritenere che il venditore fosse erede (apparenza); ??l’onerosità dell’acquisto; ??la trascrizione sia dell’acquisto dell’eredità (quindi la trascrizione dell’accettazione – tacita o espressa) da parte dell’erede apparente sia dell’acquisto del terzo PRIMA della trascrizione dell’acquisto o dell’azione di petizione di eredità da parte dell’erede vero. Incidentalmente, si ricorda che è discusso se la stessa disciplina si riferisca anche all’acquisto dal legatario apparente (come espressamente previsto nel sistema tavolare) e la scarsa dottrina e giurisprudenza che se ne è occupata sembra prevalentemente orientata in senso negativo.
Questa soluzione, però, si pone in contrasto con l’opposta espressa scelta compiuta, appunto, nell’ambito del sistema tavolare. E’ chiaro, a questo punto, qual è il ruolo del notaio in queste ipotesi: è necessario, infatti, che il notaio – una volta emersa la provenienza successoria del bene compra-venduto – spieghi con chiarezza la situazione alle parti e curi contemporaneamente la trascrizione di entrambi gli acquisti (dell’erede e del terzo). In particolare, un problema che si pone frequentemente nella pratica riguarda l’atto di vendita di un bene ereditario, ovvero la divisione ovvero la cessione di quote ereditarie da parte dell’erede che non abbia precedentemente fatto trascrivere la propria accettazione, atto di volontà indispensabile per assumere la qualità di erede (ovvero l’estratto del testamento, in caso di acquisto a titolo di legato). Per comprendere la portata del problema, bisogna ricordare che il nostro ordinamento consente l’acquisto dell’eredità anche con accettazione tacita, cioè con un atto che presuppone inequivocabilmente la volontà di accettare. Un atto tipico che implica indiscutibilmente la volontà di accettare è proprio la vendita del bene ereditato, e, quindi, per poter proteggere adeguatamente il terzo acquirente ai sensi dell’art, 534, 2° e 3° co. c.c., è appunto indispensabile trascrivere – insieme con l’atto di compravendita – l’avvenuta accettazione “tacita” dell’eredità “posta in essere” dall’erede.
Per quanto riguarda la accettazione “tacita”, però, una parte della dottrina ritiene che manchi – nella legge – una norma che ne impone la trascrizione, anche se – per la verità – tale tesi si fonda su argomentazioni che non paiono sufficienti a contrastare l’opinione contraria, che appare molto più coerente con il sistema. In generale, la trascrizione di un qualsiasi atto di acquisto (sia tra vivi che mortis causa) di per sé – per le parti – è sempre solo un mero “onere”, non un obbligo. Le parti, cioè, possono anche decidere di non porla in essere, assumendone naturalmente le relative responsabilità, in termini risarcitori. Però gli stessi atti sono invece “obbligatoriamente” trascritti ad opera del notaio che li riceve o autentica, per espressa disposizione, tra gli altri, dell’art. 2671 c.c.. Tale affermazione è senz’altro indiscussa per gli atti di trasferimento tra vivi, per l’accettazione espressa dell’eredità e per l’acquisto del legato, mentre, come già detto, a causa di una forse infelice formulazione letterale dell’art. 2648 c.c., la tesi ancora dominante ritiene che tale obbligo non si estenda agli atti di accettazione “tacita” dell’eredità, sia pure compiuti in presenza ed in collegamento diretto con un atto ricevuto o autenticato dal notaio. Tale tesi – affermando quindi che non esiste obbligo per il notaio di procedere a tale trascrizione – comporta spesso che la parte venditrice rifiuti di assumersi i costi che essa implica, mentre la parte acquirente – salva qualche eccezione – di rado ne percepisce l’importanza a proprio favore. La conseguenza, naturalmente, è che il terzo acquirente resta esposto al rischio di azioni restitutorie conseguenti alla eventuale azione di petizione dell’eredità da parte dell’erede vero; e, più in generale, rimane esposta a rischio la circolazione dei beni, compromettendo la sicurezza dei traffici.
Anche a voler accedere alla tesi che interpreta più restrittivamente l’art. 2671 c.c., e’ comunque compito del notaio rendere chiaramente edotte le parti dei termini del problema e promuoverne il più possibile l’attuazione, nell’interesse generale – di ordine pubblico – ad una ordinata e sicura circolazione dei beni immobili. Quanto fin qui esposto ha evidenziato la rischiosità dell’acquisto di beni ereditari. Si deve, però, ricordare che il sistema mostra – alla fine – un prevalente favore per la certezza delle situazioni giuridiche, derivante dalla c.d. “pubblicità sanante”, disciplinata, in generale dall’art. 2652 c.c. (vedi testo in calce) ed in particolare, per quanto qui interessa, dall’art. 2652 n. 7 c.c. Detto articolo, infatti, prevede che è comunque salvo l’acquisto – a qualsiasi titolo – del terzo di buona fede (che dovrà però essere dimostrata) se la trascrizione della domanda dell’erede “vero” è effettuata dopo 5 anni dalla trascrizione dell’acquisto. La norma non precisa puntualmente se il termine si riferisce all’acquisto mortis causa ovvero all’acquisto da parte del terzo, ma l’“intitolazione” del n. 7 stesso (domande con cui si contesta il fondamento dell’acquisto a causa di morte) induce a riferire il quinquennio proprio all’acquisto mortis causa.
E’ quindi intuitiva l’importanza della trascrizione della accettazione tacita dall’eredità, la cui mancanza impedisce il decorrere del termine quinquennale “sanante”. Come detto, si tratta di un “correttivo” che l’ordinamento prevede al fine di garantire – come fine ultimo prevalente – la certezza nella circolazione di beni, privilegiandola al di là degli aspetti sostanziali quando sia trascorso un certo lasso di tempo, oltre il quale stravolgere i dati risultanti dal sistema pubblicitario viene considerato eccessivamente dannoso per l’interesse generale. b) Art. 563 c.c Azione di riduzione – oltre che delle disposizioni testamentarie – delle donazioni che risultano lesive dei diritti dei legittimari, anche rispetto ai terzi acquirenti (art. 563 c.c.; vedi testo in calce). Come si è già ricordato, il diritto italiano riconosce la “successione necessaria”, che garantisce agli “eredi legittimari” una “quota riservata” dei beni ereditari (senza ed) anche “contro” la volontà del de cuius. Come già ricordato dal notaio Peresson, i soggetti a cui la legge riserva una quota dell’eredità sono detti “legittimari” e sono il coniuge ed i figli, o – in mancanza di figli – gli ascendenti. La quota “riservata” si calcola tenendo contro sia dei beni compresi nell’eredità al momento della successione, sia dei beni che il de cuius abbia donato in vita. L’ordinamento predispone a favore dei legittimari una ampia serie di strumenti che garantiscano loro una effettiva e concreta tutela, consentendo loro di reagire sia contro disposizioni testamentarie “lesive” dei loro diritti (attribuzioni inferiori a quanto la legge prevede, ovvero diseredazione) sia contro atti dispositivi posti in essere dal defunto stesso prima della morte con i quali egli abbia comunque sottratto ai legittimari determinati beni.
In generale, cioè, il legislatore si preoccupa di proteggere i legittimari attribuendo loro il potere di andare a “riprendersi” i beni ereditari – nelle quote loro spettanti – anche se siano stati lasciati a terzi dal testatore con testamento o con donazione, ovvero anche – ed in questo il diritto italiano si differenzia, credo, da quello austriaco – se alienati a terzi acquirenti dall’erede testamentario o dal legatario o dal donatario. Entrando nel particolare, si è già ricordato che la quota riservata agli eredi legittimari viene calcolata sommando (fittiziamente) i beni lasciati dal de cuius a quelli che egli ha donato in vita. Se i beni residui (anche se attribuiti ad altri soggetti) non sono sufficienti per soddisfare i diritti dei legittimari, l’art. 563 c.c. prevede che il legittimario “leso” nei suoi diritti possa impugnare (oltre alle disposizioni testamentarie lesive) le donazioni fatte in vita dal de cuius, cominciando dalle più recenti. E prevede, soprattutto, che se il donatario ha alienato a terzi il bene, il legittimario – dopo aver inutilmente agito contro il donatario – può chiedere ai successivi acquirenti la restituzione degli immobili. Anche i beni acquistati per donazione, quindi, pur avendo come titolo un acquisto “inter vivos”, sotto il profilo dei rischi sono equiparati ai beni di provenienza successoria. In questi casi, il ruolo del notaio è necessariamente limitato ad avvertire l’acquirente del possibile rischio collegato a tale acquisto, rischio che non potrebbe essere escluso neppure da una “adesione” fatta dai legittimari alla donazione, dato che l’art. 557 c.c. prevede la nullità di qualsiasi rinuncia fatta sui beni oggetto di successioni non ancora aperte. Anche in tali ipotesi, l’unica sicurezza per l’acquisto del terzo potrà realizzarsi grazie al decorso del tempo, per effetto, anche qui, della c.d. pubblicità sanante.. L’art. 2652 n.8 c.c., infatti, prevede che l’acquisto del terzo acquirente da chi ha ricevuto per donazione (o per disposizione testamentaria lesiva dei diritti di legittima) sia salvo (solo) se si verificano le seguenti 3 condizioni:
i) che il terzo abbia acquistato a titolo oneroso; (non rileva, invece, la buona o mala fede);
ii) che il suo acquisto sia stato trascritto prima della domanda di riduzione;
iii) che la domanda di riduzione della donazione venga trascritta dopo che sono trascorsi 10 anni dall’apertura della successione. La trascrizione dell’acquisto mortis causa di colui contro cui si agisce in riduzione non è chiesto espressamente dalla legge, ma la sua necessità si desume dal sistema, ed in particolare dall’art. 2650 c.c. che la richiede ai fini della continuità delle trascrizioni.
c) Diritto di prelazione dei coeredi: art. 732 c.c. Con fine parzialmente diverso da quanto visto finora, un ulteriore caso “rischioso” di acquisto di bene di provenienza ereditaria deriva dalla norma di cui all’art. 732 c.c., previsto in materia di “comunione ereditaria”. La “comunione ereditaria” si instaura automaticamente tra tutti i soggetti che sono coeredi dello stesso de cuius. La natura incidentale di tale comunione – che non è voluta dai partecipanti, bensì deriva dal fatto della successione – la rende particolarmente “precaria” e “diversa” dalla comunione ordinaria. In particolare, per quello che più ci interessa, caratteristica della comunione ereditaria è il diritto di prelazione che l’art. 732 c.c. prevede a favore dei coeredi nel caso di alienazione ad estranei della quota ereditata o di parte di essa. La ratio della norma si ritrova nella volontà di proteggere i coeredi dall’ingresso di un estraneo nella comunione stessa, ed infatti essa opera nei confronti della alienazione della intera “quota ereditaria”, non di un singolo bene (del quale si può disporre, sotto la condizione che in concreto venga poi assegnato all’alienante in sede di divisione: si parla, in tal caso, di vendita dell’esito divisionale) Il diritto di prelazione attribuito ai coeredi dall’art. 732 c.c. ha, appunto, natura legale, e , quindi, ha carattere “reale”, cioè è opponibile a tutti i terzi (erga omnes).
Di conseguenza, il coerede al quale non sia stato proposto – in via preferenziale – l’acquisto della quota alienata potrà “riscattarla” dall’acquirente e da ogni successivo avente causa, fino a quando dura la comunione ereditaria. Ciò significa, quindi, che anche in tal caso il terzo acquirente può vedersi sottrarre la quota acquistata. Anche in queste fattispecie sarà, dunque, particolarmente rilevante il ruolo del notaio, il quale – chiamato a stipulare il trasferimento di quota ereditaria – dovrà verificare se siano state rispettate le condizioni previste dall’art. 732 c.c., rendendo consapevoli le parti – e soprattutto l’acquirente – delle possibili conseguenze nel caso di violazione del diritto di prelazione degli eventuali coeredi. 5 – La successione: profili tributari e documentazione necessaria La legge 18 ottobre 2001 n. 383 ha disposto, all’art. 13, l’abrogazione dell’imposta di successione, lasciando però in vigore – per il resto – l’intero D.Lgs. 346/90, ponendo così vari problemi interpretativi di cui, però, non è qui possibile dar conto, neppure in sintesi. Rimangono comunque in vigore, in relazione ai beni immobili, le imposte ipotecarie (2%) e catastale (1%), che dovranno essere pagate comunque per tutti gli immobili situati in Italia, anche se oggetto di una successione con caratteri “internazionali”. La aliquota andrà applicata sul valore dei beni indicato da chi presenta la denuncia di successione. Tale valore non potrà essere fatto oggetto di “accertamento di maggior entità” (con correlata maggiore pretesa impositiva) da parte delle competenti autorità tributarie se ed in quanto il valore dichiarato non sia inferiore alla rendita catastale rivalutata (fanno eccezione i terreni edificabili, per i quali non esiste il suddetto limite) Per quanto qui interessa, ci si può limitare alle seguenti considerazioni, tutte relative o comunque applicabili anche nei casi di successione con profili di internazionalità. Documenti necessari per accedere ai beni mobili ereditari.
a) La documentazione richiesta dalle Banche è l’atto notorio, atto notarile nel quale due attestanti dichiarano essere di loro conoscenza e notori i vari “fatti” della successione: la morte del de cuius, la individuazione degli eredi, l’assenza di liti etc. L’atto notorio – piuttosto costoso – potrebbe, ad intera discrezione della Banca, essere sostituito da una assai più economica “autocertificazione” resa ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000 n.445 (Testi Unico sulla documentazione amministrativa), ma le Banche raramente accettano. Ciò, presumibilmente, perché diverse sentenze hanno affermato che l’atto notorio costituisce sufficiente prova della buona fede del terzo (la Banca), rilevante – come si è visto – ad esempio ai fini dell’applicazione dell’art. 534, 2° co. o dell’art. 2652 n. 8, C.c..
b) Denuncia di successione: Quanto alla competenza territoriale, l’art. 15 della L.383/2001, prevede che se il de cuius era residente all’estero l’Ufficio delle Entrate competente per la presentazione della denuncia di successione è quello di Roma solo se non è nota l’ultima residenza in Italia. Quanto ai beni da inserire in successione, attualmente essi sono solo ed esclusivamente i beni immobili ed i diritti immobiliari.
c) Imposte ipotecarie e catastali: continuano ad applicarsi comunque agli immobili. Non ha più rilievo la disciplina della territorialità dell’imposta, in quanto l’imposta si applica sempre quando gli immobili sono in Italia. Nonostante la non chiara formulazione della norma, invece, le imposte non si applicano quando gli immobili sono all’estero: in tal senso si è espresso anche il Ministero nella Video-conferenza del 24-10-2001.
d) Plusvalenze derivanti da beni pervenuti per successione. Solo l’art. 16, 2°co.. si riferisce alla successione sotto il profilo delle imposte sui redditi, prevedendo – a certe condizioni – la “neutralità fiscale” dell’azienda caduta in successione, che si assume ai valori storici. In relazione ai beni immobili è necessario distinguere: di per sé, l’evento morte non determina plusvalenze. In caso di successiva cessione, si deve distinguere tra terreni edificabili – la cui cessione genera sempre plusvalenza imponibile – e tutti gli altri beni immobili, la cui cessione non genera plusvalenza. In sintesi: nel caso di cittadino straniero residente in Italia che muore in Italia ed ha in Italia beni immobili: – la denuncia di successione sarà obbligatoria per i beni immobili in Italia e saranno dovute le imposte ipotecaria (2%) e catastale (1%) sul valore degli stessi. L’ufficio delle Entrate non potrà effettuare accertamenti di maggior valore (con conseguente recupero di imposta e sanzioni) quando il valore dichiarato non sia inferiore alla rendita catastale rivalutata ai sensi di legge. Non possono essere dedotte – dalle imposte ipotecarie e catastali – le eventuali imposte di successione pagate all’estero, né è possibile la dilazione di pagamento, perché deducibilità (per doppia imposizione qualora ne ricorressero i presupposti) e dilazionabilità erano previste solo per l’imposta di successione, ormai soppressa. Sui beni immobili siti in Italia non si realizzano plusvalenze, quindi non ci sarà imposizione sul reddito. Nulla sarà dovuto, invece, per i beni che egli avesse all’estero.
6) Profili di diritto internazionale privato. Il diritto italiano disciplina il fenomeno successorio con caratteri di internazionalità agli articoli da 46 a 50 della legge 31 maggio 1995 n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato). Va innanzitutto richiamato il disposto dell’art. 2, 1° co., che prevede espressamente che le disposizioni della stessa legge non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia. Per quanto riguarda specificamente i rapporti tra Austria ed Italia, bisogna però ricordare anche la Convenzione bilaterale del 6 novembre 1971, resa esecutiva in Italia con L. 12/2/1974 n. 71, la quale attribuisce in generale la giurisdizione e la competenza internazionale rispetto alle cause successorie allo Stato di cui il de cuius era cittadino al momento del decesso o in cui aveva l’ultimo domicilio. Se, però, il diritto di uno dei due Paesi attribuisce ai Giudici nazionali la giurisdizione circa i beni immobili situati nel suo territorio, tale giurisdizione viene considerata esclusiva. In estrema sintesi, si può limitarsi a ricordare che il diritto Internazionale privato italiano ha in prima scelta confermato – come in genere gli ordinamenti di origine romanistica, ad eccezione di quello francese – il principio per cui la legge della successione è unica (a differenza, come è noto, di Francia ed ordinamenti anglo-sassoni che applicano una pluralità di leggi, generalmente quella del domicilio per i mobili e la lex rei sitae per gli immobili). Paesi con criterio unico, ma legge del domicilio sono: Svizzera, Sud America, Danimarca; Paesi di criteri plurimi sono: Francia, Inghilterra, Usa ed in genere Paesi di Common law); Questo significa, in concreto, che la legge individuata in base ai criteri dettati dall’art. 46 (vedi testo oltre) regolerà la devoluzione, le cause di apertura, la determinazione dei successibili, dei legittimari e delle eventuali riserve, l’indegnità a succedere, l’accettazione e la rinuncia., i poteri del chiamato all’eredità, quest’ultimo profilo potenzialmente molto importante per il notaio.
La legge nulla dispone espressamente per valutare la capacità di agire della parte ed i vizi della volontà, ma sembra preferibile ritenere che tali profili vadano regolati in base all’art. 47, che disciplina la capacità di fare testamento) . In base all’art. 12 della L- 218/95, invece, si afferma il principio per cui i profili procedurali di un fenomeno giuridico sono tendenzialmente disciplinati dalla legge del Paese in cui tale procedura è destinata a trovare svolgimento (art. 12 delle Legge 218/95). Coordinando i due principi sopra enunciati, ne consegue che – nel caso di successione di cittadino italiano apertasi all’estero – la legge italiana individuerà i beni ed i diritti dei soggetti beneficiari, mentre il modo concreto di acquisto dei beni, insieme ad eventuali procedure di accertamento o di aggiudicazione, autorizzazioni, immissioni nel possesso da parte di strutture pubbliche, l’eventuale accettazione con beneficio di inventario etc. verranno disciplinate dalla legge del luogo in cui i beni ritrovano e le procedure devono esplicare effetto. Non è possibile, in questa sede, dare conto delle critiche e degli inconvenienti pratici di tale scelta, solo in parte risolti dall’accettato criterio del rinvio indietro.
Per riallacciarsi, invece, al discorso già fatto sui legittimari tutelati in via assoluta dalla legge italiana, si può qui ricordare che l’art. 46 li tutela disponendo che la eventuale scelta del cittadino italiano residente all’estero di sottoporre la propria successione alla legge dello Stato di cui è residente (c.d. optio legis) non può violare i diritti dei legittimari residenti in Italia. Nuovamente si deve tralasciare l’approfondimento di una norma che, quanto meno, pone dei dubbi di incostituzionalità per il diverso trattamento che riserva ai legittimari residenti e non residenti in Italia, per limitarsi ad osservare come tale norma dia ai legittimari dell’italiano residente all’estero una tutela più intensa dei legittimari di italiano residente in Italia, dato che l’eventuale scelta “lesiva”, ai sensi dell’art. 46 , sarà radicalmente nulla, laddove le disposizioni lesive “italiane” sono semplicemente inefficaci, se impugnate. Per quanto poi interessa in termini pratici l’argomento qui affrontato, si possono ancora svolgere solo brevissime considerazioni, distinguendo i casi in cui la successione si apre in Italia da quelli in cui si apre all’estero.
1) Successioni apertesi in Italia: vengono qui in rilievo gli articoli 46 e 50, che – riferendosi a fattispecie con caratteri di internazionalità – individuano, rispettivamente, la legge applicabile alla successione ed i casi in cui sussiste comunque la giurisdizione del giudice italiano. L’art. 46 L. 218/95 dispone: Successione per causa di morte.
1. La successione per causa di morte è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta, al momento della morte.
2. Il soggetto della cui eredità si tratta può sottoporre, con dichiarazione espressa in forma testamentaria, l’intera successione alla legge dello Stato in cui risiede. La scelta non ha effetto se al momento della morte il dichiarante non risiedeva più in tale Stato. Nell’ipotesi di successione di un cittadino italiano, la scelta non pregiudica i diritti che la legge italiana attribuisce ai legittimari residenti in Italia al momento della morte della persona della cui successione si tratta.
3. La divisione ereditaria è regolata dalla legge applicabile alla successione, salvo che i condividenti, d’accordo fra loro, abbiano designato la legge del luogo d’apertura della successione o del luogo ove si trovano uno o più beni ereditari. L’art. 50 dispone: Giurisdizione in materia successoria. In materia successoria la giurisdizione italiana sussiste: ??se il defunto era cittadino italiano al momento della morte; ??se la successione si è aperta in Italia; ??se la parte dei beni ereditari di maggiore consistenza economica è situata in Italia; ??se il convenuto è domiciliato o residente in Italia o ha accettato la giurisdizione italiana, salvo che la domanda sia relativa a beni immobili situati all’estero; ??se la domanda concerne beni situati in Italia. Più in generale ed in estrema sintesi, ci si può limitare a ricordare che se muore un cittadino austriaco proprietario di beni immobili in Italia, la sua successione sarà regolata dal diritto austriaco. Se, viceversa, muore un cittadino italiano proprietario di beni in Austria, la sua successione sarà regolata dalla legge italiana. I profili procedimentali, tuttavia, saranno in entrambi i casi regolati dalla legge del luogo in cui si svolge il procedimento. Per i beni immobili, i trasferimenti successivi saranno regolati, in genere, dalla legge del luogo in cui si trovano (lex rei sitae)
7 – Alcuni esempi di interesse pratico A questo punto, sembra più interessante soffermarsi su alcuni casi pratici che si presentano con una certa frequenza, anche se ci si dovrà limitare a ricordare le soluzioni a cui è pervenuta la migliore dottrina, senza poterne riportare le argomentazioni. Successione aperta in Italia alla quale sia chiamato:
a) un minore cittadino italiano (o straniero) residente abitualmente all’estero;
b) un minore straniero residente in Italia; In applicazione di quanto disposto dall’art. 42 della legge 218/95, e quindi – per il richiamo ivi contenuto – ai principi enunciati dalla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 per la tutela dei minori, si deve ritenere generalmente e principalmente applicabile il criterio di collegamento ancorato al luogo di residenza abituale del minore Fermo restando, ricorrendone le condizioni, il criterio degli “esistenti rapporti di autorità” sancito dall’art. 3 della Convenzione, per cui ciascuno Stato contraente è comunque obbligato a riconoscere quanto legalmente previsto dal paese di origine del minore con riguardo all’esercizio della potestà ed all’amministrazione dei suoi beni). Considerato il disposto dell’art. 747 c.p.c., che prevede il concorso di diverse autorizzazioni giudiziarie, imposte a tutela sia del minore che dei terzi creditori del de cuius, nei casi considerati ci sarà un concorso di provvedimenti richiesti. Specificamente – oltre all’autorizzazione, posta a tutela dei creditori, di competenza del Tribunale del luogo di apertura della successione, saranno necessari: nel caso sub
a), la l’autorizzazione dell’autorità competente dello Stato straniero in cui il minore abitualmente risiede (ma vedi anche infra per ulteriori specificazioni); nel caso sub
b), il provvedimento del Tribunale dei Minorenni del luogo ove risiede abitualmente il minore straniero (ex art. 4 legge 64/1994, attuativa della Conv. dell’Aja citata). Successioni (di italiani) apertasi all’estero. Al riguardo appare opportuno semplicemente ricordare i poteri che, in materia, vengono attribuiti ai consoli italiani da due leggi: ??Legge organica D.P.R. 5/1/67 n. 18 (Ordina-mento dell’amministrazione degli affari esteri ) ??Legge consolare: D.P.R. 5/1/67 n. 200 (Disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari) In sintesi, esse dispongono quanto segue. I consoli esplicano rispetto ai beni ereditari che si trovino nella loro circoscrizione i poteri conservativi, di vigilanza e di amministrazione attribuiti in Italia all’autorità giudiziaria (art. 41, 3° co.. D.P.R.-200/67). Essi possono ricevere le dichiarazioni di accettazione, anche con beneficio di inventario, e di rinuncia all’eredità, nonché ogni altra manifestazione di volontà o istanza attinente all’eredità (ad esempio per l’apposizione di sigilli a beni ereditari siti in Italia), che devono poi trasmettere alle competenti autorità. Essi possono, anche senza una esplicita previsione di legge, chiedere alle autorità locali ogni misura conservativa, di vigilanza ed eccezionalmente di amministrazione dei beni ereditari (art. 43 D.P.R. 200/67). Infine essi, sempre in casi eccezionali e limitatamente ai Capi Consolari di 1^ categoria, emanano provvedimenti di volontaria giurisdizione in materia ereditaria (art. 35 D.P.R. 200/67).
Il Regolamento Consolare disciplina rigorosamente tale potere. Condizione essenziale perché sussista la competenza consolare in materia di amministrazione dei beni ere-ditari è che il cittadino italiano sia morto senza lascia-re testamento o senza aver nominato un esecutore testamentario, o che questi – per qualunque motivo, non sia presente; ovvero che i chiamati siano minori, incapaci o assenti. Raccordando quanto appena esposto con ciò che si è ricordato sopra per il caso di successione apertasi in Italia a favore di minore italiano residente stabilmente all’estero, si può infine ipotizzare il caso di minore italiano residente all’estero, figlio di cittadino italiano residente all’estero e morto all’estero che deve compiere in Italia atti di natura patrimoniale per i quali si debbano chiedere, per la legge italiana, provvedimenti giudiziali autorizzativi, ed in particolare – per l’argomento che qui interessa – la autorizzazione ad accettare l’eredità con beneficio di inventario. Richiamando appunto quanto già sopra ricordato (e tenendo comunque presente che la complessità della materia non consente soluzioni unanimi), sembra dominante la tesi per cui si applica, in tale caso, l’art. 42 della Legge 218/95, che – richiamando la Convenzione dell’Aja sopra ricordata – prevede l’intervento della autorità del luogo di residenza abituale. Solo nel caso in cui l’Autorità straniera rifiuti di conoscere del rapporto di autorità stabilito secondo la legge italiana, ovvero si dichiari incompetente, si potrà fare ricorso a quanto previsto dalla sopraricordata legge consolare, in particolare dagli artt. 34,35 e 36 del D.P.R. 200/67, e quindi ritenere che le funzioni ed i poteri, nei confronti del minore (o incapace) che la nostra legge attribuisce, in generale, al Giudice Tutelare verranno in tal caso esercitati dalla Autorità Consolare del luogo di residenza del minore stesso (e fermo restando quanto sopra detto in relazione agli artt. 3 e 4 della Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori).
Nel caso di provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione, si ricorda infine che l’art. 66 della L. 218/98 ne ha previsto il riconoscimento automatico. Norme Richiamate O Rilevanti Legge Tavolare Italiana Art. 2 A modificazione di quanto è disposto dal codice civile italiano, il diritto di proprietà e gli altri diritti reali sui beni immobili non si acquistano per atto tra vivi se non con la iscrizione del diritto nel libro fondiario. Parimenti non hanno effetto la modificazione o l’estinzione per atto tra vivi dei diritti suddetti senza la relativa iscrizione o cancellazione. I diritti e gli obblighi iscritti nei libri fondiari non si estinguono con la confusione fino a che non siano cancellati. ART.3 Chi acquista a titolo di successione ereditaria o di legato la proprietà o un altro diritto reale su beni immobili non può farne iscrivere il trasferimento a suo nome nel libro fondiario, se non mediante presentazione al giudice tavolare del certificato di eredità o di legato rilasciato dalla competente autorità giudiziaria, a sensi delle norme contenute nel seguente titolo.
Nessun diritto può essere iscritto nei libri fondiari a carico di chi abbia acquistato, a titolo di eredità o di legato, la proprietà o altro diritto reale su beni immobili, se il diritto di costui non sia stato a sua volta iscritto, in conformità del comma precedente. ART.7 L’opponibilità ai terzi delle cause di invalidità o inefficacia di una intavolazione, sulla quale siano stati conseguiti ulteriori diritti tavolari, è regolata dagli arti. 61 e ss. della legge generale sui libri fondiari. Non sono perciò applicabili, in quanto si riferiscano a tali diritti, le disposizioni del codice civile incompatibili con dette norme, e in particolare gli arti. 534, 561, 563, 1445 e 2652, salvo quanto è disposto dall’ari. 20 della legge generale sui libri fondiari circa l’annotazione delle domande di impugnativa (*). Codice Civile Italiano 534. Diritti dei terzi. – L’erede può agire anche contro gli aventi causa da chi possiede a titolo di erede o senza titolo. Sono salvi i diritti acquistati, per effetto di convenzione a titolo oneroso con l’erede apparente, dai terzi i quali provino di avere contrattato in buona fede. La disposizione del comma precedente non si applica ai beni immobili e ai beni mobili iscritti nei pubblici registri [2683], se l’acquisto a titolo di erede [2648] e l’acquisto dall’erede apparente non sono stati trascritti anteriormente alla trascrizione dell’acquisto da parte dell’erede o del legatario vero, o alla trascrizione della domanda giudiziale contro l’erede apparente [2652 n. 7]. 536. Legittimari (1).
Le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione sono: il coniuge, i figli legittimi, i figli naturali, gli ascendenti legittimi. Ai figli legittimi sono equiparati i legittimati e gli adottivi. A favore dei discendenti dei figli legittimi o naturali, i quali vengono alla successione in luogo di questi, la legge riserva gli stessi diritti che sono riservati ai figli legittimi o naturali [467]. 540. Riserva a favore del coniuge (1). A favore del coniuge è riservata la metà del patrimonio dell’altro coniuge, salve le disposizioni dell’articolo 542 per il caso di concorso con i figli. Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare [144] e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli. 563. Azione contro gli aventi causa dai donatori soggetti a riduzione.
Se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili donati, il legittimario, premessa l’escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell’ordine in cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi, la restituzione degli immobili (2652 n. 8]. L’azione per ottenere la restituzione deve proporsi secondo l’ordine di data delle alienazioni, cominciando dall’ultima. Contro i terzi acquirenti può anche essere richiesta la restituzione dei beni mobili, oggetto della donazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede [1153] II terzo acquirente può liberarsi dall’obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l’equivalente in danaro. 2644. Effetti della trascrizione. Gli atti enunciati nell’articolo precedente non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi [2650]. Seguita la trascrizione, non può avere effetto contro colui che ha trascritto [2666] alcuna trascrizione o iscrizione di diritti acquistati verso il suo autore, quantunque l’acquisto risalga a data anteriore [2848 2, 2914; disp. att. 225]. 2652. Domande riguardanti atti soggetti a trascrizione. Effetti delle relative trascrizioni rispetto ai terzi. Si devono trascrivere, qualora si riferiscano ai diritti menzionati nell’articolo 2643, le domande giudiziali indicate dai numeri seguenti, agli effetti per ciascuna di esse previsti.