XXXIII Incontro del Comitato Italo-Austriaco
del Notariato 17-18 Ottobre 2008,
Lienz (Austria) “Il diritto patrimoniale tra coniugi ed i suoi risvolti sugli acquisti immobiliari in Italia
Dott. Pasquale Spena – Notaio, Pergine Valsugana
Premessa
Il regime patrimoniale della famiglia è stato oggetto di radicale riforma nel 1975 in forza della legge 19/5/1975 n. 151, entrata in vigore il 20 settembre dello stesso anno. In forza di tale legge, oltre a talune importanti riforme del diritto successorio, veniva cambiato di imperio il regime patrimoniale fra coniugi. Infatti, prima del 20 settembre 1975 vigeva il regime della separazione dei beni. I coniugi, quindi, se non sceglievano volontariamente la comunione fra coniugi, si trovavano in regime di separazione assoluta dei beni. Con la riforma del 1975 il regime ordinario cambiava e diveniva quello della comunione legale. Solo con apposita scelta da effettuarsi all’atto del matrimonio o successivamente dinnanzi ad un notaio, i coniugi potevano optare per la separazione dei beni. Il legislatore della riforma concesse poi un certo lasso di tempo ai soggetti già sposati per optare, con scelta anche unilaterale, di conservare il precedente regime e cioè quello della separazione dei beni. Tale termine ebbe scadenza il 15 gennaio 1978. Qualche problema di diritto transitorio vi è tuttora, allorquando bisogna stabilire se un bene acquistato dal 20/9/1975 al 15/1/1978 sia o no caduto in comunione nella ipotesi che il matrimonio si sia sciolto prima del 15/1/78 ovvero uno dei coniugi sia deceduto prima di tale data. Due opinioni si sono contrapposte: v’è chi ha ritenuto che elemento della fattispecie acquisitiva alla comunione legale sia lo spirare del termine del 15/1/78 e quindi, non essendo stata effettuata entro tale data alcuna scelta, e non essendo spirato il termine, il bene è rimasto personale.
Altri ha ritenuto che il regime della comunione entrasse subito in vigore, salvo la facoltà di scelta contraria entro il 15/1/78. Non essendovi stata scelta contraria, il bene sarebbe in comunione. Ma non è opportuno prendere posizione in questa sede, stante l’estrema sinteticità della presente relazione. Oggi quindi i soggetti che si sposano e non effettuano alcuna scelta, ricadono automaticamente in comunione legale dei beni. Con apposita scelta da effettuarsi dinnanzi al soggetto che celebra il matrimonio si può scegliere la separazione dei beni. Si può scegliere anche successivamente dinnanzi ad un notaio, ma in tal caso il regime di separazione decorrerà dalla data della scelta. Dobbiamo ora chiederci, per quanto riguarda la comunione legale quali beni ne fanno parte. Innanzi tutto va detto che, anche se i coniugi sono in comunione legale, non tutti i beni che essi acquistano, ricadono nel regime della comunione. Cadono, infatti, in comunione legale solo taluni degli acquisti effettuati dopo il matrimonio. In particolare ai sensi dell’art. 177 C.C. “costituiscono oggetto della comunione:
a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;
b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;
c) i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati;
d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio. Qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi”.
Ne sono poi esclusi per espresso dettato legislativo, ai sensi dell’art. 179 CC: “non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge:
a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;
b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;
c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;
d) i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione;
e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonchè la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto.
L’acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell’articolo 2683, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge.” Va detto che la comunione legale comporta la necessità che i coniugi compiano congiuntamente gli atti di straordinaria amministrazione e la stipula dei contratti per i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, mentre per gli atti di ordinaria amministrazione basta l’intervento di uno solo dei coniugi (art. 180 CC.). Lo stesso dicasi per le relative azioni in giudizio. La comunione legale poi è caratterizzata dal fatto che ciascuno dei coniugi non può disporre della propria quota, neppure per trasferirla all’altro coniuge, salvo premettere un’apposita convenzione matrimoniale. Si parla comunemente, in tal senso, di “indisponibilità della quota” o di “comunione senza quota”. La legge poi sancisce l’annullabilità degli atti relativi a beni immobili o a mobili registrati di cui all’art. 2683 CC. se compiuti senza il necessario consenso dell’altro coniuge e da questi non convalidati. Il termine di prescrizione dell’azione è di un anno. Se trattasi di beni mobili non registrati, il coniuge che ha compiuto gli atti senza il consenso dell’altro coniuge è obbligato a ricostituire la comunione nello stato in cui era o, qualora non sia possibile, al pagamento dell’equivalente (art. 184 CC.). Chiarito, sia pur sommariamente, cosa costituisce oggetto della comunione e cosa ne resta escluso, prima di procedere oltre, desidero affrontare alcuni casi dubbi che hanno acceso nel corso degli anni il dibattito dottrinario e giurisprudenziale.
Il caso: due coniugi sposati in comunione dei beni, costruiscono una casa sul terreno di proprietà esclusiva di uno dei due utilizzando denaro della comunione. Ci si chiede: quali diritti vanta l’altro coniuge? Secondo la Cassazione, che si è pronunciata anche a sezioni unite (Cass.22/04/1998 n.4076, Cass Sez.Un. 27/01/1996 n.651 ecc.), risolvendo un annoso problema, che la dottrina si era posta circa la prevalenza o meno dell’accessione sulla genericità della dizione dell’art. 177 CC, la casa spetta per accessione al proprietario del terreno e l’altro coniuge vanta un diritto di credito pari al valore della metà dei costi sopportati per la costruzione. Al di là di questo singolo caso, la giurisprudenza è propensa ad allargare, in forza di una sorta di “favor communionis” il novero degli acquisti oggetto della comunione, ricomprendendovi anche le fattispecie di acquisto a titolo originario, quali ad esempio l’usucapione. Come si è visto, quindi, prevalentemente oggetto della comunione legale sono gli acquisti effettuati a titolo oneroso, sul presupposto che il denaro utilizzato faccia parte della comunione legale.
Se, al contrario, si utilizza denaro che proviene da alienazione di beni personali, l’acquisto è escluso dalla comunione legale, richiedendosi però, un ulteriore requisito di carattere formale se si tratta di immobili e cioè l’intervento dell’altro coniuge che riconosca tale circostanza. Allorquando invece si tratta di bene mobile, tale requisito formale dell’intervento dell’altro coniuge non è richiesto, bastando la semplice dichiarazione dell’acquirente, da rendersi all’atto di acquisto. Ora se l’atto di acquisto è un atto scritto (si pensi all’acquisto di una quota societaria) resterà traccia della dichiarazione resa dall’acquirente. Ma se si tratta di un contratto verbale ad esempio l’acquisto di un gioiello sarà certamente difficile, per dimostrare la personalità dell’acquisto, fare affidamento sulla memoria del gioielliere acui l’acquirente avrà comunicato che ha impiegato denari provenienti da alienazione di beni personali!
Requisiti formali
Come abbiamo visto i coniugi possono liberamente scegliere il regime da adottare. Essi poi nel corso del matrimonio possono cambiare anche più volte il regime dei beni. La forma richiesta è l’atto pubblico notarile che andrà pubblicizzato, a cura del notaio, con annotazione a margine dell’atto di matrimonio da parte dell’ufficiale dello Stato civile. Tale forma di pubblicità è essenziale ai fini della conoscibilità da parte dei terzi del regime della separazione o della comunione. Purtroppo il legislatore, per favorire la riappacificazione dei coniugi che si sono separati ad hanno annotato a margine dell’atto di matrimonio la sentenza omologatoria della separazione, non ha previsto formalità per la ripresa della convivenza e pertanto può capitare che i terzi non sono in grado di conoscere la reale situazione dei coniugi normalmente separati, ma di fatto conviventi. Difatto, a seguito della convivenza e venuti meno gli effetti della separazione personale, che comporta anche la separazione dei beni, i coniugi si ritrovano in comunione legale e con tutte le conseguenze relative.
Fatte queste premesse di carattere generale, vediamo in dettaglio quali sono le possibili convenzioni matrimoniali ammesse dal nostro ordinamento. Va quindi chiarito che per “convenzione matrimoniale” deve intendersi quell’atto che si pone come fonte di regime diverso da quello legale. Secondo la giurisprudenza della Cassazione non fanno parte delle convenzioni matrimoniali quegli accordi che vengono conclusi in occasione di separazione consensuale. Le convenzioni matrimoniali postulanoinfatti “il normale svolgimento della convivenza coniugale”. Vi possono essere, anche se scarsamente frequenti per i limiti posti dall’ordinamento, convenzioni prenuziali. Queste sono subordinate alla celebrazione del matrimonio il quale viene quindi a costituire una “condicio iuris” (arg. ex art. 785 CC): in tal caso però non può applicarsi il disposto dell’art. 1359 CC in caso di rifiuto a ottemperare la promessa di matrimonio. (art. 1359 CC: la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento della stessa). Sono ammesse anche condizioni sospensive e termini iniziali. Lo scioglimento del vincolo determina la perdita di efficacia delle convenzioni, eccetto il caso del fondo patrimoniale (art. 171 CC) in presenza di figli minori.
Limiti
I principali limiti sono imposti dagli artt. 160, 161 e 162 terzo comma, 166 bis e 210 terzo comma del Codice Civile. Pertanto i coniugi non possono derogare nè ai diritti nè ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio (art. 160). Inoltre non possono pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali siano in tutto o in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti, o dagli usi, ma devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare questi rapporti. E’ poi nulla ogni convenzione che comunque tenda alla costituzione dei beni in dote. Nelle convenzioni che i coniugi possono stipulare in ogni tempo, non possono essere ricompresi nella comunione convenzionale i beni indicati nelle lettere c), d) ed e) dell’art. 179 CC (e cioè i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori; i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione, i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno morale, la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa). Quindi, salvo i limiti innanzi precisati, i coniugi possono derogare alla comunione legale, che è il regime ordinario, o scegliendo la separazione dei beni, o effettuando convenzioni matrimoniali che non contrastino con i limiti stabiliti dalla legge. Problema interessante e discusso in dottrina è se i coniugi possono stipulare accordi in ordine all’assegno di divorzio, o al contributo di mantenimento in sede di separazione. Parte della dottrina, interpretando restrittivamente l’art. 160 CC, ha ritenuto di no. Ma successivamente altra parte della dottrina e la giurisprudenza (Cass. 13 aprile 1960 n. 860 e Cass. 26 ottobre 1968 n. 3654) ha finito per riconoscere validi quegli accordi nei quali il coniuge riconosce di non avere diritto al mantenimento, riconoscimento che resta vincolante finchè non mutano le condizioni patrimoniali. Con ciò, di fatto, riconoscendo la disponibilità del diritto.
Mutamenti delle convenzioni matrimoniali
Precedentemente alla legge 10 aprile 1981 n. 142 le convenzioni matrimoniali, dopo il matrimonio, potevano essere mutate solo previa autorizzazione del giudice. Oggi è venuta meno la necessità dell’autorizzazione, che è rimasta solo per la modifica delle convenzioni matrimoniali stipulate per atto pubblico prima dell’entrata in vigore di detta legge.
Fondo patrimoniale
Una particolare convenzione patrimoniale disciplinata dal codice è il fondo patrimoniale (art. 167 CC). Tale convenzione deve, al pari delle altre, essere stipulata per atto pubblico e, nel caso che a stipularla non siano i coniugi, ma un terzo, costui può servirsi anche del testamento. Con tale convenzione si destinano beni immobili, o mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia. Se effettuata dal terzo, si perfeziona con l’accettazione dei coniugi, sempre con atto pubblico. Si può stipulare tale fondo patrimoniale anche durante il matrimonio. L’effetto più importante che si ottiene con tale convenzione è quello di precludere ai creditori, che sono tali per bisogni estranei alla famiglia, di aggredire i beni del fondo (art. 170 CC). Si può stabilire che la proprietà resti in testa al costituente il fondo, altrimenti essa si appartiene ad entrambi i coniugi.
Comunque l’amministrazione dei beni, e dei frutti, che devono essere impiegati per i bisogni della famiglia, spetta ad entrambi i coniugi con le regole della comunione legale con le precisazioni fatte innanzi. Con l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento dello stesso (o con la cessazione degli effetti civili) termina la destinazione del fondo. In caso di figli minori, il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell’ultimo figlio. E’ prevista poi la possibilità che il giudice, ove ne ricorrano le circostanze, possa attribuire ai figli, in godimento o in proprietà una quota dei beni del fondo. Tra le tante questioni che ha dato luogo questo istituto, vorrei accennare a due di queste ed in particolare l’alienazione dei beni e l’oggetto del fondo. Il Codice civile prevede (art. 169) che non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare i beni del fondo patrimoniale se non col consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con autorizzazione del giudice, ma solo in casi di necessità o utilità evidente. Ma è fatto salvo il patto contrario. Si è discusso se il patto contrario possa riferirsi al solo consenso di entrambi i coniugi o anche all’autorizzazione del giudice. L’opinione prevalente è che si possa derogare all’autorizzazione del giudice, prevedendo tale deroga già in sede di costituzione e su ciò si è espressa favorevolmente più volte la giurisprudenza. Più discussa è la questione se si possa derogare al consenso di entrambi i coniugi posto la norma che prevede che per l’amministrazione dei beni del fondo si applicano le norme sulla comunione legale. Ragioni di prudenza inducono il notaio a richiedere il consenso di entrambi i coniugi.
L’altra questione riguarda l’oggetto del fondo. Possono essere oggetto anche quote di s.r.l., nonostante le stesse non siano titolo di credito? Le complesse argomentazioni per giungere alla tesi positiva esulano dai limiti della presente relazione. Basterà ricordare che alcuni Giudici del Registro delle Imprese (di Brescia, di Milano, ecc.) hanno riconosciuto l’ammissibilità anche per le quote di s.r.l. di essere oggetto di fondo patrimoniale. A seguito della dematerializzazione degli strumenti finanziari (principali titoli di credito) a seguito del D.lgs 213/1998, la pubblicità che viene data agli stessi non è dissimile da quella che può darsi alla circolazione delle quote di s.r.l. e questo è un argomento che ha convinto taluni giudici del Registro delle Imprese.
Diritto internazionale privato
La legge 31 maggio 1995 n. 218 ha riformato il sistema italiano di diritto internazionale privato. Per la parte che qui ci interessa bisogna far riferimento agli artt. 29 e 30. Si devono quindi distinguere: art. 29 I rapporti personali tra coniugi, che sono regolati dalla legge nazionale comune. Qualora i coniugi abbiano cittadinanze diverse o più cittadinanze comuni, tali rapporti sono regolati dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata. Più complessa è la situazione relativa ai rapporti patrimoniali fra coniugi. art. 30 In primis i rapporti patrimoniali sono regolati dalla legge applicabile ai loro rapporti personali. Importantissima è la possibilità prevista nel detto art. 30 che se almeno uno dei coniugi è cittadino dello Stato Italiano o almeno uno dei coniugi risiede in Italia, gli stessi possono convenire per iscritto che i loro rapporti patrimoniali vengano regolari dalla legge dello Stato di cui almeno uno di essi è cittadino o nel quale almeno uno di essi risiede aggiungendo al 2° comma: “l’accordo dei coniugi sul diritto applicabile è valido se è considerato tale dalla legge scelta o da quella del luogo in cui l’accordo è stato stipulato.” Il regime dei rapporti patrimoniali fra coniugi regolato da una legge straniera è opponibile ai terzi solo se questi ne abbiano avuto conoscenza o lo abbiano ignorato per loro colpa. Relativamente ai diritti reali su beni immobili, l’opponibilità è limitata ai casi in cui siano state rispettate le forme di pubblicità prescritte dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano. Tale norma non si pone in contrasto con l’art 161 cc. Fatta questa breve e necessariamente lacunosa panoramica, penso che si sia già risposto alle prime quattro domande che gli organizzatori hanno posto come traccia di questo convengo.
Restano da trattare i casi pratici.
1° caso: Due coniugi di stessa nazionalità (italiana) desiderano acquistare un immobile che dovrà risultare di proprietà esclusiva di un solo coniuge. In tal caso i coniugi hanno due opzioni:
a) scegliere il regime di separazione dei beni, che varrà da quel momento in poi fino a nuova convenzione, scelta che dovrà avvenire innanzi al notaio con atto pubblico e trascritta a margine dell’atto di matrimonio.
b) se sono in comunione, l’intestazione ad uno solo può avvenire solo se il denaro proviene da alienazione di beni personali o dallo scambio di beni personali.
Trattandosi di bene immobile dovrà intervenire in atto l’altro coniuge per riconoscere tale circostanza. Tale dichiarazione ha un’efficacia meramente ricognitiva, o dichiarazione di scienza, ma non negoziale. Quindi è validamente fatta se corrisponde a verità. In tal senso si è pronunciata più volte la Cassazione (ad es. Cass. 19/2/2000 n. 1817). Per la verità va ricordato come parte della dottrina ammetta una dichiarazione negoziale volta ad escludere un bene dalla comunione (posta che è lecito per i coniugi escludere tutti i beni della comunione: nel più è compreso il meno!) ma tale precisazione non gode del favore della Giurisprudenza della Cassazione (Cass. 27/2/2003 n. 2954). Una Cassazione, non recente, ha anche escluso la necessità dell’intervento del coniuge quando è evidente che la permuta riguarda beni personali, andando oltre la lettera del codice, ma su ciò il notaio adotterà prudenza (Cass. 8/2/1993 n. 1556) (che aveva anche ammesso la cd. “rinuncia” al coacquisto).
2° caso: Due coniugi di nazionalità diversa desiderano acquistare un immobile che dovrà risultare di proprietà esclusiva di un solo coniuge. Qui bisogna distinguere: – se fra i coniugi vige il regime di separazione dei beni o perchè previsto da entrambi gli Stati di appartenenza o perchè è il regime dello Stato ove la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata: nulla quaestio. – se al contrario vige tra loro il regime di comunione, in forza dei criteri innanzi precisati, allora i coniugi possono avvalersi del secondo comma dell’art. 30 della legge 31/5/1995 n. 218 e perciò se almeno uno dei coniugi risiede in Italia potranno scegliere di applicare ai loro rapporti patrimoniali la legge italiana e quindi scegliere il regime di separazione dei beni.
3° caso: Quali sono le conseguenze se al tavolare ovvero alla Conservatoria dei RR.II risulta proprietario un solo coniuge, mentre in base al diritto patrimonIale vigente al momento dell’acquisto l’altro coniuge avrebbe acquistato la comproprietà? Anche qui bisogna distinguere: – di massima le risultanze tavolari danno atto della situazione del bene anche in relazione al regime dei coniugi e pertanto se il bene è intavolato a favore di uno solo dei coniugi deve presumersi, in forza di un principio di presunzione di legittimità del libro fondiario, che il bene sia del solo coniuge intestatario. – Diverso il caso della Conservatoria dei RR.II. Qui il notaio dovrà indagare, in base alle risultanze dei registri dello stato civile, la situazione dei coniugi. Naturalmente può ben capitare che anche la situazione tavolare non corrisponda alla realtà, ed esempio per errore di intavolazione o per altre circostanze. Ma tralasciando la sterminata casistica che potrebbe verificarsi, resta il principio che il coniuge non intestatario potrà senz’altro agire per far valere il suo diritto e dovrà annotare subito la domanda intesa a rivendicare il suo diritto se vuol opporre al terzo tale diritto. Il terzo, infatti, di buona fede che acquista sulle risultanze del libro fondiario, sarebbe tutelato nei confronti del coniuge che, inerte, non si fosse attivato per far valere il suo diritto.
4° caso: A che cosa bisogna prestare attenzione in relazione al diritto patrimoniale dell’alienante al momento dell’alienazione. Circoscrivendo il problema al diritto patrimoniale fra coniugi ed ai beni immobili, bisogna conoscere il regime esistente fra coniugi al momento dell’alienazione. Con le conseguenze sopra trattate.
5° caso: Vi sono particolari precisazioni in caso di immobili abitativi acquistati da due coniugi (o da due conviventi) in caso di decesso di uno dei due. Il regime di comunione o di separazione fra coniugi non interferisce col diritto successorio. Se l’immobile abitativo era comune, cade in successione la quota di metà. Se il bene era personale del coniuge deceduto, cade in successione l’intero bene. Al coniuge superstite poi spetta ai sensi dell’art. 540 CC. il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se la casa era del coniuge deceduto o di entrambi. Non vi sono diritti per i conviventi more uxorio, salvo la continuazione nel contratto di locazione dell’immobile stipulato dal convivente deceduto e ciò in forza di sentenza della Corte Costituzionale 7/4/1988 n. 404, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1 art. 6 l. 27 luglio 1978 – 392 nella parte in cui non prevede tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio.