Per una dignità giuridica del morente
I testamenti di vita
“Pur escludendosi l’eutanasia, ciò non significa obbligare il medico ad utilizzare tutte le tecniche della sopravvivenza che gli offre una scienza infaticabilmente creatrice. In tali casi non sarebbe una tortura inutile imporre la rianimazione vegetativa, nell’ultima fase di una malattia incurabile? Il dovere del medico consiste piuttosto nell’adoperarsi a calmare le sofferenze, invece di prolungare più a lungo possibile, con qualunque mezzo e a qualunque condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso la conclusione.” Così ebbe a scrivere Paolo VI nella lettera del 30.10.1970 al Cardinale Villot. Morte e vita, capacità ed incapacità, etica della fine-vita, autodeterminazione e ritorno dell’autonomia privata, dignità della persona intesa come individuo capace delle sue capacità e di anticipare, nel tempo, le direttive per le sue incapacità. Individuo che è nella vita compreso e partecipe della solidarietà e testimone, con il suo vivere ed il suo morire dell’essere “sociale” e quindi, in senso cristiano, responsabile anche dell’altro. La vita come bene soggettivo o la vita come bene oggettivo, come “valore sociale”, ad ognuno le sue scelte di coscienza, le sue scelte di vita, le sue scelte di morte. L’approccio dello studioso a queste problematiche, seppure arduo, deve essere perfettamente ed indubbiamente, inevitabilmente laico. L’inviolabilità della vita e la sacralità del dolore, la dignità del corpo, anche, nella sue progressioni terminali, l’attenzione giuridica a questo momento, quasi inevitabile per ognuno di noi e la sua intangibilità hanno origine dal
Processo di Norimberga
– (dicembre 1946 – Agosto 1947) “Fu il primo caso nella storia di in giudizio intentato e concluso a carico di 23 medici nazisti responsabili di atroci esperimenti (resistenza alle basse temperature e pressioni, profilassi e terapia di infezione come tifo, effetti di raggi x e gas, riduzione chirurgica di ossa, nervi, organi etc) (1 Condò) Da qui un codice, il primo, il codice di Norimberga che statuì che per gli esperimenti su esseri umani viventi, era necessario il consenso di questi, ed è la prima volta che si parla di consenso del malato. Oggi sembra ovvio, non lo era allora, non era pensabile prima, nella storia. Fino a pochi decenni fa il rapporto medico-paziente era un rapporto di tipo paternalistico. Il paziente, per il suo bene e per la sua ignoranza, era tenuto all’oscuro, il medico, nella sua scienza, era il giudice inappellabile, nel bene e nel male, di ogni decisione. Oggi il malato ha un diritto, seppure ancora non chiaramente normato, ad un consenso/dissenso pienamente e compiutamente informato. Ha diritto di sapere tutto o di non sapere alcunchè ma è comunque arbitro e giudice del suo “status” di malato. Ha il diritto di accedere ai trattamenti terapeutici, e di conoscerne scopo ed esito, ha il diritto di godere dei trattamenti di sostentamento vitale, ha questi diritti, ma, se cosciente, ha anche il diritto di rifiutarli. Questo è il punto. Quali diritti ha il malato terminale e quello non capace? Il suo fine-vita ha diritto alla dignità di umano o, proprio per il suo stato, ha perso ogni diritto ad autodeterminarsi? “Taluno (M.G.GIAMMARINO,) peraltro, ha ritenuto di dover scorgere in una simile valorizzazione dell’autodeterminazione individuale un passo significativo verso la realizzazione del c.d. “diritto leggero”, ossia verso l’accoglimento dell’esigenza, da più parti avvertita, di una sostanziale deregulation nelle materie più strettamente legate alla sfera personale. (Salito) Oggi che stiamo sempre più superando i confini fra capacità ed incapacità, la sua dicotomia, oggi che si sentono sempre più come discriminanti e ghettizzanti istituiti, socialmente odiosi, come l’interdizione e l’inabilitazione, sarebbe il caso di chiedersi, con forza, se esista una capacità, seppure lieve, nell’incapacità.
Caso “Cruzan” deciso dalla Suprema Corte Americana nel 1990.
A seguito di un incidente stradale del gennaio 1983 Nancy Cruzan da vari anni si trovava in SVP (stato vegetativo permanente)(:: J ), oltre a non avere più capacità cognitiva non poteva bere o mangiare o far fronte ad altra necessità. I genitori basandosi sul fatto che Nancy aveva più volte espresso il desiderio di non continuare a vivere se si fosse trovata in SVP fecero ricorso al Tribunale del Missouri per chiedere che venissero interrotti i trattamenti di sostegno vitale. La Corte Suprema, poi adita, postulò, per la prima volta, il diritto a morire e lo fece negando l’autorizzazione, poichè non esisteva una volontà realmente documentata, sostenendo, quindi, la liceità di una volontà, in tal senso, se legalmente documentata. Affermò poi “una persona incapace ha gli stessi diritti di una persona capace, in quanto ad entrambi è riconosciuta la stessa dignità”. Geoffrey Gorer (The Ponografy of Death, Encounter 1955) affermava che la morte, nel XX secolo, divenne un tabù e sostituì il sesso come principale divieto. Nel XV secolo ebbe un enorme successo un’opera in latino “Ars Moriendi” che, tradotta in cinque lingue, venne diffusa in tutta l’Europa. Trattava e tratta dell’agonia, della sofferenza e del dolore del malato e ne tratta in termini cattolici, di carità cristiana, senza pudori o timore alcuno. Nel mondo occidentale, si ha addirittura paura di parlare della morte. Cosa si pensa in quell’attimo così breve? Ma è davvero breve l’attimo in cui si muore? O è un attimo che dura immenso, un attimo al rallentatore in cui inermi guardiamo il mondo e l’abbracciamo invano, un attimo che diventa un sorso d’aria e poi un’altro sorso che non arriva ma di cui è lento l’abbandono?
O forse iniziamo a respirare forte il niente, il lasciarsi andare, come a pieni polmoni respiriamo l’acqua facendone aria, per poi morire credendo di respirare? O forse ancora quest’attimo di morte libera l’intera vita per prepararsi a fare poesia dell’ultimo sospiro? Sono interrogativi che ci porremo sino alla fine. E’ questo il mistero della vita. Siamo anche riusciti, probabilmente inconsciamente, ad operare una sorta di “laicizzazione del testamento”. “Nella seconda metà del XVIII sec. interviene un cambiamento considerevole nella stesura dei testamenti. Si può affermare che questo cambiamento sia stato generale in tutto l’occidente cristiano, protestante e cattolico. Le clausole pie, le elezioni di sepoltura, le fondazioni di messe e servizi religiosi, le elemosine scompaiono, e il testamento si riduce a quel che è ancora oggi, un atto legale di distribuzione del patrimonio” (Ariès 1997, p.55) Ma anche potendo inserire, e si può in quanto lecito (Art.587 c.c.), nel testamento disposizioni di carattere non patrimoniale, quali gli atti di disposizione per il corpo ad esempio la cremazione o la donazione degli organi, ragioni di ordine pratico impediscono una loro attuazione. Ritardi nella pubblicazione, estratti da richiedere, ricerca del notaio custode dell’originale un Re gistro Generale dei Testamenti che non riesce a funzionare sono ostacoli insormontabili per una pronta esecuzione della volontà del “de cuius” Solo la creazione di “un testamento di vita” che altri chiamano anche “Biologico” potrebbe ovviare a questo, in quanto contenendo disposizioni sui trattamenti terapeutici e di sostentamento vitale potrebbe ben contenere disposizioni per il corpo. La sua conoscibilità in vita darebbe la certezza di una pronta esecuzione.
Il caso di Miss B (deciso il 22.3.2002 dalla High Court of Justice Family Division d’Inghilterra)
Il 26.8.1999 Miss B, viene ricoverata a causa di un’emorragia che la rende poi invalida. Dopo alterne e sfortunate vicende rimane paralizzata dal corpo in giù. Il 23.3.2001 subisce un’altra operazione con la quale spera di risolvere in parte i suoi problemi. L’esito è negativo e Miss B., per la prima volta, chiede di sospendere il trattamento di sostentamento vitale, quindi la macchina per la ventilazione artificiale. L’ospedale in cui è ricoverata chiede esami psichiatrici perchè non la ritiene pienamente capace. A questo punto, è un susseguirsi di perizie pschiatriche discordanti fra loro e di richieste da parte di Miss B. di sospensione dei trattamenti, rifiuto, di sostentamento vitale. Miss B., oltre ad avere richiesto verbalmente la sospensione dei trattamenti di sostentamento vitale aveva redatto un “living will” (testamento di vita) col quale anticipava il suo rifiuto a quei trattamenti. Uno dopo il primo ricovero, il 4.9.1999, ed uno il 24 Febbraio 2000. Il primo viene ritenuto dai medici inefficace perchè non particolareggiato, il secondo ancora inefficace perchè redatto quando la paziente divenne terminale quindi per questo, a giudizio dei medici, incapace. “All’esito del procedimento il giudice dichiarerà Miss B. perfettamente capace, accertando conseguentemente il diritto della donna di rinunciare per il futuro a trattamenti vitali, e così puntualizzando: – che si deve presumere la capacità del paziente di adottare decisioni sanitarie; – che, nel caso in cui sì ci trovi di fronte ad un paziente capace, la volontà di questi debba essere integralmente rispettata, anche se egli intenda rifiutare trattamenti; e che l’interesse del paziente nella valutazione del medico non assuma alcuna rilevanza; – che, in caso di dubbio sulla capacità del paziente, il dubbio stesso debba essere risolto rapidamente dai medici; – che, mentre è in corso il giudizio sulla capacità del paziente, costui debba essere curato secondo la valutazione del suo interesse effettuata dal medico; – che, in caso di dubbio quanto alla capacità del paziente, il medico dovrà astenersi dal compiere, in merito, valutazioni che si basino sull’assimilazione del rifiuto del trattamento a causa di incapacità; – che, nella valutazione sulla capacità, dovranno essere interpellati esperti indipendenti; – che il personale sanitario deve tenere presente che una persona gravemente malata sotto il profilo fisico, ma che sia capace di assumere decisioni sanitarie, va trattata come ogni altra persona capace.
Sono tutte indicazioni che verranno seguite fino a un certo punto, e comunque per poco tempo, dai sanitari. Il 30 aprile 2002 Miss B. muore.” (Cendòn) Questo caso è emblematico di due opposte problematiche, da un lato il diritto, lecito, alla sospensione del trattamento di sostentamento vitale e la necessità dell’accertamento della capacità del richiedente, che nella prospettiva di una nuova legge, saranno di delicata normazione. Un paziente terminale capace può, quindi, legittimamente, anche nel nostro ordinamento, richiedere la sospensione dei trattamenti terapeutici e di sostentamento vitale, un paziente terminale incapace non può, nel nostro ordinamento, richiederlo. E’ un evidente caso di discriminazione giuridica, è un riconoscimento, amaro, della negazione di un diritto per un paziente terminale incapace, è un’ammissione, colpevole, che capace ed incapace, per il diritto, non hanno la stessa dignità. Diversi anche nel morire, diversi anche nella morte. Se abbiamo tutti, costituzionalmente, il diritto, che è poi originario, di vivere la vita con dignità, perchè, se non capaci, non abbiamo lo stesso diritto di vivere, con dignità, la morte?
Poichè il nostro diritto non riconosce la morte per se stessa, non riconosce un diritto a morire senza dolore, poichè non riconosce dolore e morte, non riconosce alla sofferenza dignità giuridica, la riconosce come imposizione, come atto dovuto a conclusione di una vita, forse sofferta anch’essa. La verità vera è che dolore e morte, essendo personali, sono sempre altrui e non riescono ad assurgere a dignità giuridica. E preciso, con decisione, che non mi riferisco, neppure lontanamente, all’eutanasia, neanche a quella cosiddetta “passiva”, che è istituito ancora troppo distante dalla nostra storia e dalla nostra cultura. Ma sofferenza, dolore, morte fanno parte della nostra sfera personalissima, della nostra storia in divenire, e se non lo sono ora, lo saranno poi, inevitabilmente. Ed anche questo è, oggettivamente, oggetto del diritto poichè centro di imputazione giuridica della sofferenza, dell’essere viventi, capaci ed incapaci, anche terminali e, quindi, portatori e soggetti di diritti. Perchè soffrire oltre natura, se posso fare le scelte prima del diventare non capace, perchè ridursi a vegetale, se posso evitarlo, perchè lasciare un’immagine di me, che non è mia, se posso evitarlo?
Ho desiderio e diritto di vivere con dignità di uomo, sia nella povertà che nell’agiatezza, nell’errore o nella giustezza, nel peccato o nella santità, ma tutto generato da scelta consapevole. Perchè non poter trasmettere questa scelta nel futuro di una terminalità incapace? E’ impossibile, impensabile, avvilente vivere così, ma è altrettanto impossibile sapere di poter morire così, come corpo in lenta, amara, decomposizione. Vorremmo morire con estrema, umana, personale dignità, anche nel corpo in lenta digressione, che ha il diritto di conservare un sorriso. Ma è importante, quasi essenziale, che alla fine della vita, se non una risata ironica ed amara ci venga restituito un atteggiarsi che sia più vicino ad un sorriso che ad una smorfia acuta, di dolore. E’ un nostro diritto, normato o meno, soffrire il dolore od evitarlo, e se il soggetto capace può scegliere, stesso diritto all’incapace che, oggi è punito due volte, per essere tale e per non poter scegliere, neppure anticipando le sue scelte. Inventiamoci, da creatori del diritto, il testamento di vita e la procura, meglio il mandato, in previsione dell’incapacità. Ne abbiamo capacità intellettuale e competenza sarebbe colpevole non intervenire. E’ un diritto, quello di rifiutare il dolore, quello di ridare una sua dignità alla morte che ha, già oggi, le sue fonti normative Art. 32 2° Co. Costituzione Italiana sancisce il divieto di trattamenti sanitari obbligatori al di fuori dei casi previsti dalla legge “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” – Art. 13 – Cost. It. sul principio generale di autodeterminazione ; – art. 32 del Codice di deontologia medica statuisce che il medico non deve intraprendere attività diagnostica o terapeutica senza aver prima acquisito il consenso informato del paziente.
Art. 34
“Il medico deve attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e dell’indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona. Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tener conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso. Il medico ha l’obbligo di dare informazioni al minore e di tenere conto della sua volontà compatibilmente con l’età e con la capacità di comprensione, fermo restando il rispetto dei diritti del legale rappresentante; analogalmente deve comportarsi di fronte ad un maggiorenne infermo di mente.” Articolo che è sconvolgente per la sua attualità e la sua esaustività nel toccare tutti i nodi cruciali, la capacità, l’incapacità, la minore età, il consenso e le direttive anticipate, quindi il testamento di vita.
- – Art. 2 e 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, relativi al diritto alla vita ed al divieto della tortura che alcuni (caso inglese Diane Pretty) hanno posto a monte di un diritto all’Eutanasia passiva, a mio avviso, forzando lo spirito del principio enunciato.
- – legge 14.3.2001 “ratifica ed esecuzione della Convenzione di Oviedo” (Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti dell’umano e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della sociologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, fatta ad Oviedo il 4.4.1997, nonchè Protocollo addizionale del 12.1.1998 n.168 sul divieto di clonazione di essere umani).
- – Capo II disposizioni relative al consenso ai trattamenti sanitari.
- – Art. 6 Convenzione di Oviedo: “Se un maggiorenne non ha, a causa di un handicap mentale, di una malattia o per un motivo similare, la capacità di dare il consenso ad un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, dell’autorità o di persona o tutore designato dalla legge” (Cendon)
- – Art. 5 del Codice Civile, letto ovviamente nel suo senso positivo. E
ora avviandoci a trattare di “law in action” non possiamo tralasciare il diritto vivente, l’etica solidale del Notariato, il rapporto fortissimo e sensibile che lega, che deve legare, Notariato, diritto vivente . e società “Il pensiero giuridico svela la sua natura complessa: la dimensione speculativa si innesta sempre sulla capillare vita quotidiana, che costituisce una sorta di ineliminabile dimensione sommersa. Esso non può mai prescindere dalla laboriosa officina, dove, accanto agli altissimi principi, si parla e si opera su leggi e atti amministrativi, contratti e testamenti, citazioni in giudizio e fattispecie criminose, contratti di lavoro e società commerciali, una diaspora di fatti stanati dai loro gusci particolari e inseriti ad un più alto livello, in una Società e in una cultura, come oggetto di pensiero. “Pensiero Giuridico” è senza dubbio una filosofia ma ben spesso una filosofia sottratta al filosofo professionale: il balbettio, che diventerà successivamente discorso ma che è già un embrione di discorso, prende l’avvio nel cantiere degli avvocati, dei giudici, dei notai.”
Così ebbe a scrivere Paolo Grossi nel 1988.
Noi operatori del diritto abbiamo la responsabilità di questo balbettio che nasce, dapprima, nella Società, come esigenza, noi dobbiamo essere partecipi e solidali, noi dobbiamo essere consci di una “utilità sociale” della nostra funzione pubblica. Non dobbiamo appartarci, acquattarci, tra le nostre mura, ma scendere per strada per capire ciò che la gente vuole, non è più tempo di solo diritto imposto ma è tempo di “diritto vivente” di diritto che nasce, di primato della prassi sulla legge. La pratica quotidiana non può essere solo pedissequa applicazione del “diritto vigente” ma, poichè vitale e viva, deve essere creazione, deve essere invenzione, deve essere fucina di intuizioni, non astratte, ma richieste dell’individuo, dalla società. Abbiamo la responsabilità dell’interpretazione, ma abbiamo anche quella dell’intuizione, abbiamo una responsabilità ed una funzione di maieutica giuridica. Dobbiamo tradurre in norma, creata, inventata, interpretata l’istanza sociale. Abbiamo un obbligo di ascolto ed abbiamo un obbligo di attenzione intelligente. Mengoni ebbe a definire il diritto vivente come “la giurisprudenza consolidata, ma intesa in un’accezione più ampia di giurisprudenza costante, qualificata da una serie continua di pronunce conformi” Andrei più lontano, il diritto vivente è la contrapposizione logica al diritto codificato, alla norma prodotta solo dallo Stato, è il diritto in divenire, è il diritto che aspetta da noi pratici e non dallo stesso Stato il “Crisma della giuridicità”.
Proprio in tutto questo ordine di ” responsabilità sociali” risiede il fondamento di un’etica nuova, di una nostra etica, di un “etica solidale del Notariato”. E quale più forte, più coinvolgente istanza sociale di quella del “morente”, peggio, del “morente incapace” che viene a chiederci un aiuto, uno strumento che eviti la sua discriminazione, il suo ridursi ad oggetto, a semplice vegetale, la sua disumanizzazione estrema? La medicina palliativa fa molto, è stata approvata la legge sull’utilizzo degli oppiacei (L.8.2.2001 n°12 – Norme per agevolare l’impiego di farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore), ormai sappiamo che una forte sedazione può affrettare si la morte ma eviterà gli spasmi, l’agonia disumana. Se questo è lecito per il capace, perchè non può essere lecito per l’incapace? Forse è un dolore diverso o forse non è dolore? L’accanimento terapeutico non è sempre salvifico, è, il più delle volte, solo fine a se stesso, è la continuazione, il perpetrarsi del dolore, che non è mai espiazione, ma solo e semplicemente dolore. I trattamenti di sostegno vitale (idratazione, ventilazione forzata, nutrizione artificiale con sonda nasogastrica) non sono un atto di sostentamento doveroso, in quanto il sostentamento è per i viventi e non per i morenti, quali sono, nella loro logica i soggetti in stato vegetativo permanente (S antos suoso 2000, 2034) Perchè, quindi, precludere la possibilità che un soggetto capace anticipi le sue direttive in previsione di un momento in cui non lo sarà più?
Un caso italiano
Un padre-tutore fece istanza al Tribunale sollecitando l’interruzione dell’alimentazione artificiale alla figlia in stato vegetativo permanente. La Corte d’Appello di Milano, poi adita, in “base alla considerazione che l’alimentazione artificiale non sia un trattamento terapeutico bensì un normale mezzo di sostentamento quindi, una cura sempre proporzionale e perciò moralmente doverosa, rigettò con questa discutibilissima argomentazione, il ricorso”. Ebbe, poi, occasione di affermare il principio, secondo cui “è facoltà per il rappresentante legale di rifiutare legittimamente, ogni qualvolta le circostanze lo giustifichino, i rimedi propri per il paziente incosciente. (CENDON) Comincia a sentirsi palpitare il “diritto vivente” – Esperienze Straniere Di Bioetica, poichè di Bioetica e Biodiritto, in fondo si tratta, si comincia a parlare intorno agli anni 60, ovviamente negli Stati Uniti, e, dico ovviamente, perchè quella cultura, quel diritto fondato sull’esperienza e sul precedente è il più sensibile a recepire istanze nuove, creazioni dell’individuo come soggetto singolo di diritto. Nel momento in cui si dibatte, di: sessualità, riproduzione, filiazione, fecondazione artificiale, trattamenti terapeutici, consenso informato, sperimentazione, utilizzo di organi per il trapianto e utilizzo del cadavere per la sperimentazione, si toccano sensibilmente i diritti fondamentali dell’uomo, quelli relativi alla sua sfera personale ed in quel momento la Bioetica diviene Biodiritto e noi operatori del diritto dialoghiamo con il filosofo-etico, con lo scienziato, da quel momento il dialogo medesimo assurge a dialogo fortemente interdisciplinare.
Negli Stati Uniti, quando negli anni 70 si comincia a parlare di autodeterminazione ed autonomia, si comincia a dibattere di “consenso informato” di “diritti del malato” e cominciano ad apparire timidamente le prime bozze di “living will”, testamento biologico e testamento di vita. Ma è, sempre in quegli anni, con il caso “Quinlan” che l’argomento viene alla ribalta dei media con un notevole impatto. La Corte Suprema del New Jersey “riconobbe il diritto, costituzionalmente garantito, di far cessare l’impiego di mezzi straordinari, atti ad assicurare un artificiale prolungamento della vita di persone affette da gravissime ed irreversibili infermità mentali e riconobbe ancora che tale diritto potesse essere esercitato sia direttamente dall’interessato sia da un suo rappresentante” (Salito) Nell’ottobre del 1976 entra in vigore il “Natural death ACT” dello Stato della California che tratta compiutamente del “consenso/dissenso informato”, dei diritti del malato e della possibilità di esprimere direttive anticipate in materia di trattamenti terapeutici o di sostegno vitale. Da qui un susseguirsi di pronunzie giurisprudenziali e di provvedimenti legislativi, tra cui gli “Uniform ACTS” non vincolanti, ma comunque validi per tutti gli Stati uniti. Ad oggi quasi tutti gli Stati si sono dotati di normazione, per lo più minuziose, sui “living will” e le direttive anticipate o procura sanitaria ed alcuni (Illinois, South Dakota e Texas) coscienti dei problemi concernenti l’autenticità del documento e la sua pubblicità, si sono dotati di Re gistri Generali, consultabili dai medici, telefonicamente o via Internet. Altro problema, quello della pubblicità e della conoscibilità ,particolarmente sensibile in previsione di una nuova normazione.
Il Canada
Paese leader nell’attenzione rivolta ai diritti umani non poteva non legiferare in questo senso ed a partire dal 1983 lo ha fatto in tutti gli Stati. Particolare attenzione è stata dedicata al consenso informato ed ai “living will” Va ricordato, in particolare, il “testamento di vita” del “joint Center for Bioethics” dell’università di Toronto che, in modo decisamente originale ed esaustivo si compone di due parti. La prima parte è la designazione del rappresentante che dovrà assumere le decisioni in luogo del disponente divenuto incapace. La seconda parte, di notevole interesse, prevede tutta una serie di istruzioni in merito alla cura della persona e contiene indicazioni di carattere patrimoniale. Ed in senso migliorativo e più audace, nel Quebec viene emanato il “Mandat en prevision de l’inaptitude”. “Il mandato può essere rilasciato da una persona maggiorenne, in previsione di una propria futura incapacità, per atto pubblico notarile ovvero per scrittura privata alla presenza di testimoni e diventa efficace al verificarsi della causa di incapacità e previa omologazione da parte del tribunale, su domanda del mandatario designato nell’atto (art.2166 c.c.) (Salito) Da qui prende lo spunto il progetto predisposto dal C.N.N. e, in parte, quello che presenteranno i Notai della Sardegna. E’, senza dubbio di sorta, l’interpretazione più completa di quanto è istanza della società attuale. Ed è ancora di più stimolante il fatto che “ulteriori formalità sono previste per i mandati stipulati in presenza di Notaio, per il quali è necessaria, ai fini pubblicitari, la registrazione nel Re gistro Generale dei mandati d’incapacità. Il Re gistro è stato introdotto dalla Camera dei Notai del Quebec il 29 Agosto 1991” (Salito)
L’Esperienza Europea
Abbiamo già detto della Convenzione di Oviedo. Anche alla luce di questo la Danimarca è stata la prima nazione a dotarsi di una normativa in materia. E’ del 18.9.1992 con il n.782 il “livstestamenter”, che consiste di un modulo suddiviso in tre parti. La prima contiene il rifiuto per trattamenti terapeutici o di sostentamento vitale in caso di terminalità. La seconda, il medesimo rifiuto ma nell’ipotesi di malattia, incidente o età avanzata che possano aver causato forte disabilità. La terza, infine, la richiesta di cure per alleviare il dolore e la terapia palliativa. La prima è vincolante per il medico, le altre due solo dopo attenta valutazione da parte dello stesso medico curante. (Cendon) E’ stata prevista l’istituzione di un particolare Re gistro consultabile dal medico, un prezzo politico, ma purtroppo nessuna attenzione all’autenticità del documento. In Olanda i pazienti che portano una speciale medaglia, sono pazienti che rifiutano, a priori, trattamenti di rianimazione cardio/respiratoria. In Spagna dapprima il Parlamento Catalano il 21.12.2000 e recentemente il Re gno con legge hanno legiferato, compiutamente, in merito al consenso informato e le direttive anticipate, che consistono in un documento con il quale un maggiorenne, libero e capace, manifesta anticipatamente le sue volontà, affinché abbiamo applicazione allorquando addivenga ad incapacità, sulle cure e sul trattamento sanitario o al momento del decesso sulla sorte del corpo o degli organi del medesimo.
Il dichiarante può anche designare un rappresentante affinché, giusto il momento, diventi, in suo luogo interlocutore del medico o dell’equipe sanitaria. Anche la Conferenza Episcopale Spagnola si era pronunziata a favore. In Germania, dove si da molta importanza al “diritto vivente” è in vigore il mandato preventivo (VORSORGEVOLLMACHT) in previsione dell’incapacità con disposizioni su scelte di carattere sanitario. Ma è anche utilizzato, nato questo dalla prassi sopratutto notarile, il “PATIENTENTESTAMENT” rivolto prevalentemente ai familiari. E’ un documento redatto e legalizzato con l’ausilio di un Notaio che si struttura in “un preambolo in cui viene precisato l’interesse del soggetto di regolare con proprie istruzioni il momento in cui verrà a trovarsi nella condizione di malato incurabile e non sia più in grado di esprimere la propria volontà personalmente e di una parte dispositiva in cui si precisano i medicamenti e gli analgesici che si vuole vengano somministrati, nelle dosi sufficienti ad affrettare il decesso. Al documento è allegata la diagnosi del medico, sempre redatta dal notaio (Salito) E’ particolarmente interessante l’attenzione alla “attualità della volontà”, in quanto il documento è sottoposto a “revisione” giuridica da parte del disponente e di questo ne viene fatta menzione sul documento stesso.
In Svizzera si discute molto ma a livello di Confederazione ancora non si è legiferato. Lo hanno fatto alcuni cantoni come Valais, Lucerna e Zurigo. In Francia il “testamento de vie” viene dalla dottrina, non è normato, ma se ne discute molto. Nell’area di “Common law” non esistono normazioni specifiche ma la tendenza attuale è quella di riconoscere sempre più valenza giuridica all’autodeterminazione. L’Enduring Powers of Attorney ACT”, che è una procura in previsione di incapacità può contenere, oltre alle disposizioni di carattere patrimoniale, anche disposizioni attinenti la sfera personale del disponente, comprese le opzioni di carattere sanitario. Vi è prevista un’autentica della firma del disponente, particolarmente originale, da parte del direttore sanitario della casa di cura. Non a caso le leggi statunitensi, seppure molo liberali nelle questioni di forma, prevedono l’intervento di un Notaio e di due testimoni indipendenti, qualità che certo non accompagna il medico nella gestione di queste delicate vicende (vedi caso Miss B) I progetti italiani In Italia si comincia a dibattere, in via propositiva, dall’anno 1999 con la proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati dall’ On.Grignaffini n°5673, ripresentata nel 2000 al Senato ed, in questa legislatura, dalla stessa Grignaffini e dal Senatore Acciarini. Con questo progetto si postula il diritto all’informazione, il diritto al rifiuto al trattamento ed il diritto al consenso/dissenso anticipato in previsione dell’incapacità. Seppure meritevole nelle affermazioni di principio il progetto è assolutamente carente nei dettagli delle direttive sulla loro pubblicità e accessibilità ed estremamente superficiale, quindi estremamente pericolosa, nell’accertamento dei presupposti di efficacia delle direttive, cioè nell’effettivo accertamento dell’incapacità.
Nell’argomento non sono mancate iniziative di carattere privato, nel marzo del 1992 la Consulta di Bioetica presenta la sua “Carta dell’Autodeterminazione”. E’ da ricordare poi che esiste un caso di direttive anticipate già in vigore nella prassi in Italia. L’Azienda Sanitaria Locale 12 di Venezia prevede la possibilità che il paziente dia disposizioni sulla propria salute e nomini un fiduciario. È stato comunicato alla Presidenza del Senato il 23 maggio 2003 il progetto di legge d’iniziativa dei Senatori Ripamonti e Del Pennino n°2279 “Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari” Anche questo progetto preciso nella affermazione di principi nuovi e non codificati, quali il consenso informato, il rifiuto dell’informazione, la possibilità della negazione dell’accanimento terapeutico, di manifestazione di volontà anticipata, pecca, fortemente, nei dettagli e nelle modalità d’esercizio ed applicazione delle norme dettate. Non è previsto alcun sistema di pubblicità e tantomeno di accessibilità ai dati, solo l’inserimento nella cartella sanitaria. Anche qui si prevede l’autentica delle firme del disponente da parte del Direttore Sanitario, in sostituzione di quella notarile, quando il paziente sia degente. Originale e colpevole questa continua omissione del legislatore in materia di pubblicità ed accessibilità ai dati. In materia di donazione di organi, di disposizioni per il corpo, di testamento di vita e di mandato in previsione dell’incapacità è fondamentale l’archiviazione, soprattutto informatica, dei dati e quindi una loro pronta ed efficace conoscibilità, senza, peraltro, cadere nella violazione del diritto alla privacy. Esistono ancora, allo stato attuale, altri progetti di legge ( ) che toccano ancora la sfera dei nuovi diritti di cui ci stiamo occupando ma ho fatto la scelta di non trattarli poiché hanno, come primo obiettivo, una normazione dell’”eutanasia” e del “suicidio assistito”, che, non vedo nel futuro prossimo possibile della realtà italiana.
Considerazioni conclusive ed un Progetto
Con un po’ di presunzione ritengo di aver almeno messo in risalto l’importanza che ha per la società, anche italiana, lo sviluppo di tematiche come il “testamento di vita” e le “Direttive Anticipate” in genere. Almeno tanto quanto è importante la sofferenza, il dolore, la dignità del dolore, la dignità di chi soffre, la dignità giuridica del morente. Spero di essere riuscito ad evidenziare quanto sia importante che “l’officina notarile” prenda coscienza del suo ruolo nella società, prenda coscienza del suo ruolo di “sentinella attiva” ed attenta alle palpitazioni del “diritto vivente”, se ne faccia interprete ed assistente nell’invenzione, sappia gestire, con risultato e coraggio, la “prassi” e le evoluzioni “in progress” della “prassi”. Spero di essere riuscito nel tentativo di ricostruire un minimo di ”responsabilità sociale” nell’osservanza di un “etica solidale della categoria, di ricondurre l’attenzione su problematiche evolutive del diritto, di ripristinare una forma di “protagonismo creativo” e non solo “protagonismo interpretativo” di farsi partecipe del “balbettio”. Non mi nascondo, e non posso farlo, la complessità di un esame, necessariamente multidisciplinare, di un approccio etico, religioso, scientifico giuridico. Ma non posso non riconoscere che, preso atto della premesse poliedriche, un nostro tentativo di soluzione normativa non possa che essere decisamente, assolutamente laico. E da laico del diritto vado avanti con i colleghi sardi e sfruttando anche il grosso lavoro già svolto dal Consiglio Nazionale del Notariato sulla “procura in previsione dell’incapacità” nel tentativo di proporre le colonne fondanti di un progetto in materia di consenso informato, testamento di vita e mandato in previsione dell’incapacità.
Consenso informato
E’ una premessa fondamentale di una architettura normativa che vada a toccare la sfera dei diritti del paziente. Chiuso storicamente il rapporto d’impronta partenalistica medico/paziente dobbiamo aprire la strada ad un rapporto professionista qualificato-paziente responsabile e capace, giuridicamente, di autodeterminarsi. Perché il consenso sia vero e giuridicamente valido, dovrà essere spontaneo, pieno e specifico conseguente ad un’informazione completa e dettagliata su scopo, natura, rischi e conseguenze della malattia e delle sue terapie, conservando la possibilità di revoca del consenso dato. Il curante dovrà comunque graduare l’informazione tenendo conto della situazione psichica del paziente, della sua situazione di sofferente, e della sua età, pur riconoscendo anche al minore capacità di discernimento e di autodeterminazione, in rapporto alla sua età e maturità psichica, stabilendo, però, che il parere del minore sia preso in considerazione a stregua di fattore determinante, in rapporto alla sua età e grado di maturità, (art.6 comma 2, convenzione di Oviedo), soluzione peraltro univoca, perchè altrimenti la convenzione si sarebbe discordata dalle previsioni della “convenzione sui diritti del fanciullo”, la quale all’art.12 dispone che gli Stati parte garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, la quale sarà presa in debita considerazione a seconda della sua età e maturità. (Calò Carta di Autodeterminazione) Di converso va tutelato e normato il diritto opposto al rifiuto dell’informazione.
– Perchè un testamento di vita
Perchè alla vita, consegue in fine la morte, che è una sua logica, necessaria conseguenza; ma non è logica e non è conseguenza che alla morte si accompagni la sofferenza, il dolore estremo, di un corpo che non governa più se stesso, un corpo che non sa come morire. Ridare, quindi, dignità anche alla morte, è ridare dignità giuridica al morente, alle sue scelte, anche alle sue scelte anticipate. Il “testamento di vita” che altri preferiscono chiamare “Biologico” è di per sè la scelta fondamentale. Un “testamento di vita” per poter sciogliere se morire nella sedazione, anche se indotta, o vivere come vegetale nell’attesa di una morte che non ha più alcuna dignità. Perchè accanirsi sul corpo quando la coscienza è già evaporata? Il “testamento di vita” è una risposta civile a tutto questo. Che sia negozio unilaterale è poco discutibile, che sia testamento è fonte di ragionamento, ma è comunque stimolante che sia un testamento che trovi il suo presupposto di efficacia nel momento dell’incapacità, quindi, comunque in vita.
Nel momento in cui il diritto a determinarsi perde il suo soggetto cosciente della proposizione giuridica. E’ comunque, indubbiamente, una volontà anticipata. E’ volontà anticipata, ma circoscritta, limitata alle scelte di trattamento terapeutico, di rifiuto/consenso all’accanimento terapeutico, alle scelte di trattamento di sostentamento vitale che abbia il solo fine di proiettare un corpo nel suo dolore all’infinito. Il “testamento di vita”, se deve essere intelligente ed umano, deve, necessariamente, avere come contenuto, il consenso/rifiuto all’intervento curativo o palliativo, ma anche le disposizioni per il corpo, quello senza più coscienza, per gli organi, per il cadavere a fini scientifici, per la sua sepoltura od una sua cremazione. Pur negozio unilaterale da vivo, ben può essere, nel suo paradosso, testamento, poichè anticipa volontà che avranno valenza in quello stato intermedio, nuovo per il diritto, che è la fase di incoscienza, che è cessazione di vita, ma è anche cessazione decisa di diritti. La forma, considerando la altissima valenza sublime delle direttive, non può essere che quella solenne dell’atto pubblico, ha necessità dell’intervento del Notaio perchè si comprenda l’importanza, delle scelte, che in fine di tutto, hanno per oggetto, dolore, vita, morte. Ne consegue, per necessaria conseguenza logica, che scelte come queste, siano, comunque e sempre, revocabili, nella stessa solennità della forma, poichè ogni forma di ripensamento ha la stessa dignità di ogni precedente determinazione. E’ discutibile, ed è discusso, se l’attualità della malattia possa essere premessa condizionante di scelte in un senso o nell’altro. Da questo consegue l’incertezza se questo particolare “testamento” debba avere durata illimitata, o, se debba esser oggetto di decadenza nel tempo determinato, o di periodica revisione; stiamo argomentando, studiando, riflettendo, sperando di risolvere, senza alcuna presunzione d’essere precisi e definitivi. L’assenza della malattia o la sua attualità, indubbiamente, hanno forza nel condizionare le decisioni.
Perchè un mandato in previsione dell’incapacità
“In primis” perchè un mandato e non una procura. Perchè questi interventi giuridici hanno una peculiare esigenza che è quella della speditezza, della quasi immediatezza, non possono risolversi in designazione e successiva accettazione, devono essere oggetto di controllo, immediatamente consensuale, seppure prevedendo sostituzioni in caso di impossibilità del contraente mandatario che dichiari la sua accettazione. Per la forma non posso che richiederne le solennità, quindi l’atto pubblico e non per rivendicare al Notariato altre funzioni, poichè in quanto opera solidale dovrebbe comunque prescindere dal comprenso o quasi, ma perchè lo impone l’importanza delle scelte del disponente che dovrà sentire su di sè la gravità della sua azione ed il Pubblico Ufficiale dovrà darne ampia ed esauriente spiegazione, in uno scambio, quasi intimo, di confidenza. Importanza delle scelte decisionali che comporterà necessariamente, una possibilità di revoca con la stessa solennità. Quanto al contenuto perchè veramente possa dare serenità di scelta al disponente dovrebbe essere il più ampio possibile, partendo dalle scelte di ordine sanitario per arrivare a quelle di ordine patrimoniale, generale nella sua formulazione ovvero dettagliata e puntuale nella sue elencazioni.
Quando l’incapacità?
Presupposto di validità effettiva di efficacia sia del “testamento di vita” che del “mandato in previsione dell’incapacità”, non può essere che l’accertata situazione di incapacità irreversibile del paziente. Una situazione incontrovertibile di stato vegetativo permanente, di cui tralasciamo l’ analisi scientifica. Forse è il punto più delicato dell’intera normazione per la necessità di una certificazione di “incapacità” veloce ma nello stesso tempo non viziata da dubbi ed incertezze di carattere scientifico. Scelta che dovrebbe, come altri hanno prospettato, ma che non può spettare al Giudice, perchè qui è indispensabile la speditezza ed è impensabile un ricorso burocratico ad una Autorità, già minata nel suo gigantismo da attribuzioni, da lentezze procedurali. Scelta che non può quindi che spettare ai medici, perchè qui non si tratta di interdizione/inabilitazione, di incapacità giuridicamente accertata, ma di certa “incapacità naturale”, che è presupposto di efficacia giuridica per gli Istituti che vogliamo normare. Ovviamente non potrà essere un medico, un curante solo con se stesso nel dramma della scelta decisionale, ma un’equipe di specialisti del dolore, della terapia palliativa, della neurologia, della pschiatria. Sappiano bene di aprire una breccia nella storia della nostra normazione, ma se vogliamo, come vogliamo, un approccio laico ed efficace alle necessità giuridiche di un morente non possiamo che dimenticare, per una volta, ricorsi ed autorizzazioni ed optare per una scelta che abbia solo fonte scientifica e decisamente specialistica. Non ci deve spaventare l’abbandonare le pastoie burocratiche del diritto ma ci deve stimolare l’inventare presupposti scientifici di efficacia giuridica a scelte di diritto già effettuate. Ovviamente la certificazione medica o sarà resa ad un notaio che poi l’annoterà per darne pubblicità, o sarà annotata direttamente dal Direttore Sanitario a margine dell’atto che vada a rendere efficace.
Contrasti decisionali
Il Giudice, nel progetto ha, comunque, una sua allocazione, sarà giudice dei diritti, sarà giudice unico nei contrasti decisionali. Potrà essere adito, con formulazione ampia e procedura snella, da chiunque vi abbia un interesse, dai familiari, dal tutore, dal minore, dai curanti, dall’interdetto e dal Pubblico Ministero.
Trattamento fiscale
Abbiamo scritto molto dell’aspetto etico e pluridisciplinare di questo progetto, abbiamo scritto di un suo intervento “solidale” nel tessuto sociale, della sua risposta franca ad una indiscussa “utilità sociale”. Abbiamo anche scritto che per il Notariato costituisce un recupero della parte Etico-Solidale della sua funzione. Partendo da queste premesse, anche se questo turberà chi è convinto del primato della libera professione sulla pubblica funzione non si dovranno prevedere, nell’architettura normativa, agevolazioni di carattere fiscale ma una loro totale esenzione e, chiaramente, onorari di spettanza ridotti al minimo
Pubblicità e accessibilità
Negli Stati Uniti, dove i “Living will” e le direttive anticipate sono da tempo in evoluzione, ci si è ben presto resi conto che uno dei punti cruciali da risolvere perchè questa manifestazioni di volontà abbiano reale efficacia è la loro “pubblicità” e di conseguenza la regolamentazione dell’accessibilità a questi dati. Alcuni Stati come l’Illinois e il South Dakota hanno creato delle banche dati consultabili dai medici, anche telefonicamente o telematicamente. Abbiamo di fronte a noi i disastrosi risultati del Re gistro Generale dei Testamenti, il laborioso e lento sviluppo telematico del Re gistro delle Imprese e delle Conservatorie dei Re gistri Immobiliari. Di converso, prendiamo sempre più coscienza delle grandi capacità e delle enormi potenzialità che ha, in questo campo, la nostra categoria, anche grazie alla tecnica di “Notartel”. Abbiamo di fronte la desolazione amara di chi è in attesa di un trapianto, di chi muore nell’attesa di un organo che, magari, è già a disposizione. Molti che hanno scelto per il “dopo vita” la cremazione, ricevono altra sepoltura, perchè la loro volontà, imprecisa e non documentata, lascia nel dubbio o nell’ignoranza delle scelte i parenti che avrebbero il dovere di assolvere. Abbiamo, quindi, pensato che potrebbe essere una sfida per il Notariato gestire, anche telematicamente un Re gistro per questo disposizioni, un archivio informatico che dovrebbe contenere anche un monitoraggio tissutale degli organi per i trapianti, accessibile, con password, oltre che dai notai, dai sanitari e, dai curanti. Sarebbe sicuramente una sfida, ma se vincente, vorrebbe la categoria in competizione per gestire altri archivi quali quelli a noi più vicini delle Imprese e dei Re gistri Immobiliari. Un Notariato coraggioso, dovrebbe aver il coraggio di fare delle scelte, dovrebbe avere il coraggio non solo di accertare ma anche di promuovere le sfide.
In fine
Un sogno che non deve essere un’illusione.
Dispiace, rattrista e compassiona dover trattare di questi momenti di fine-vita, ma è giusto che trovino anche loro un perfetto riconoscimento giuridico, ed è doveroso per noi, che ne siamo operatori, proporre, per una loro normazione. Sarebbe consolatorio, per noi che viviamo nel diritto, che possiamo esserne creatori, che dobbiamo esserne inventori, se riuscissimo a costruire una vera dignità giuridica, autodeterminata, a questa cosa semplice, ineluttabile ed insieme complessa, che è respirare l”ultimo respiro. Morire con dignità, morire con dignità giuridica deve essere un diritto pieno, considerato che l’etica comune sfugge e non ha sufficiente forza per superare il diritto e divenire una superetica della Fine-Vita, che è, per questo quindi per sua natura, l”ultimo paradosso della vita.